Le indagini e gli accertamenti tecnici e scientifici hanno dissipato ogni dubbio sulla tragica morte di Giusy, e le ombre che si erano addensate sulla figura del marito, Marco Satori, sono svanite. La Procura ha archiviato il caso. Non è stato un femminicidio, la donna si tolse la vita. Il magistrato che dirigeva le indagini dei carabinieri su questo giallo, il sostituto procuratore della Repubblica Leonardo De Gaudio, ha archiviato questa tragica vicenda di cui, nelle varie fasi, avevamo diffusamente parlato. La donna, che aveva 38 anni ed era madre di quattro figli, il più grande di vent’anni e il più piccolo di pochi mesi, fu trovata senza vita nella notte fra il 10 e l’11 giugno 2024 in via XXIV Maggio, al Molin Nuovo, dove si trova un piccolo insediamento di prefabbricati e dove abitano alcune famiglie sinti.
In un primo momento fu ipotizzata la morte per strangolamento con un indumento, un paio di pantaloni, e l’attenzione degli inquirenti si concentrò sul marito, in un contesto di rapporti tesi con la moglie. Erano sposati da ventidue anni. Fu indagato per omicidio.
E’ il legale di Marco Satori, l’avvocato Stefano Camerini del foro di Prato, che assiste l’uomo insieme all’avvocato Michele Nigro, del foro di Prato, che ci spiega come si è poi evoluta questa tragica vicenda dal punto di vista investigativo.
"Abbiamo partecipato all’autopsia con un nostro consulente, il medico legale Giuliano Piliero. Erano emersi dati contraddittori sui segni rilevati sul collo di Giusy. E’ stato fatto successivamente un esperimento giudiziale sul posto. Questo perchè era stato il padre a trovarla e aveva spostato il corpo, di fatto “inquinando“ la scena, bisognava quindi capire le modalità con cui questa tragedia si era compiuta. Gli accertamenti successivi hanno confermato l’ipotesi del suicidio e quei segni sul collo sono stati spiegati con il disperato tentativo della donna di salvarsi. Tra l’altro – spiega ancora l’avvocato Camerini – erano state acquisite dagli inquirenti le chat di quella notte fra marito e moglie, c’erano frasi che testimoniavano lo stato depressivo della donna. Lui era a Prato e lei a casa da sola. Li conoscevo entrambi da tempo. Lei aveva sempre cercato di emanciparsi dalla vita nomade, ma non c’era mai riuscita. Quello che le può essere accaduto non è stato ben compreso. Il mio assistito ha atteso in carcere le prime fasi della vicenda. Come si ricorderà, era stato arrestato a Livorno per altri reati. E’ libero da qualche mese".
l.a.