A tutti gli ammiratori di Luca Bizzarri, atteso questa sera dalle 21 sul palcoscenico del Teatro Verdi di Montecatini con ’Non hanno un amico’, rappresentazione scritta con Ugo Ripamonti ispirata all’omonimo podcast, innanzitutto una rassicurazione: nella città termale arriverà in auto e non in treno, sempre da Bologna, dove ormai vive per la comodità negli spostamenti ("Da Genova è difficile muoversi, da Bologna, quando tutto funziona, è più semplice"). "La cosa divertente è che da quando ho fatto quel video, dove avvertivo dell’impossibilità di esibirmi a Firenze causa problema tecnico al treno – aggiunge –, tutti quelli che verranno a vedermi al ‘Verdi’ si sono sentiti in dovere di avvisarmi che se fossi giunto in treno, sarei dovuto partire almeno sei ore prima. Sono genovese, però, e anche con le strade non ho un rapporto bellissimo". Intervistare il 53enne artista è come assistere a un recital in pillole. L’intelligenza, l’arguzia, la simpatia non gli fanno difetto. E pare tutt’altro rispetto al personaggio che il cinema gli ha affibbiato, il "furbetto, sveglio e cattivello" che ruba la donna altrui.
Ma Luca Bizzarri è davvero così nella vita di tutti i giorni?
"Credo che sia una questione di fisiognomica: sono nato con la faccia da ‘str…’. Sono l’opposto di quello che appaio quando mi esibisco. Sono poco socievole e mondano: un solitario. Le origini genovesi influiscono. È il mio carattere: non sono mai stato quello a capo della festa, bensì colui che beve la birra al bancone".
’Non hanno un amico’: che cosa dobbiamo aspettarci da questo spettacolo?
"Una specie di confessione: prendo in giro le paure e le debolezze degli altri partendo dalle mie. Un racconto della mia generazione confrontata con le precedenti e le successive. La mia è la peggiore: siamo stati i figli e siamo i genitori peggiori. Quelli prima hanno fatto la resistenza, vissuto il boom economico, fatto l’amore libero, le rivendicazioni, noi al massimo i paninari. Quando ci lamentiamo dei politici, spesso dimentichiamo che ci sono quelli della mia età in Parlamento".
Si nota l’amore per il teatro: è il luogo dove si esprime più liberamente?
"Anche il podcast è una bella oasi di libertà. In teatro, in più c’è il brivido dell’attimo irripetibile".
L’obiettivo?
"Visto che lavoro molto, tra quello con Paolo (Kessisoglu, ndr) e da solo, faccio fatica a fare progetti. Ma per me, dal punto di vista psicologico, è una manna dal Cielo, perché quando mi fermo… faccio disastri".
Una comicità ficcante: a chi si è ispirato?
"Credo di aver preso da mio padre, uno degli uomini più puntigliosi incontrati nel corso della vita: non dice mai no, ma "sì, però". Quel ‘però’ che fa andare su tutte le furie".
C’è spessore nei suoi testi.
"Ho studiato al Liceo classico, il ‘Doria’, da cui fui cacciato ignobilmente: ero scarsissimo e con brutti vizi da ragazzi. Trent’anni dopo, mi hanno chiamato gli studenti per tenere una lezione in aula magna, accanto all’ufficio della preside, che frequentavo abitualmente. Una soddisfazione".
Gianluca Barni