
Italo Pierattoni
Lamporecchio (Pistoia), 24 aprile 2021 - Alle 23.10 del 25 luglio 1956 il cuoco allora 35enne Italo Pierattoni stava riposando, dopo una giornata di lavoro nella cucina di prima classe del transatlantico Andrea Doria. "In quel momento si sentì un grande rumore e uno scossone – racconta – e sembrò che la nave avesse urtato uno scoglio affiorante. Ma si sentiva un odore acre, dovuto al fatto che eravamo stati investiti da un’altra nave, lo Stockholm. Lo speronamento era avvenuto a prua e si seppe poi che costò la vita a 46 persone. Mi resi conto del grande disastro solo quando uscii fuori. Ancora oggi ho dei lampi di memoria che mi riportano a quei paurosi momenti". La Doria affondò la mattina successiva per lo squarcio sulla fiancata.
Italo ha compiuto 100 anni l’11 marzo scorso. E’ nato a San Baronto sulle colline del Montalbano di Lamporecchio. Abita da tempo a Città Giardino, quartiere di Viareggio, ed è stato presidente del locale Centro Anziani. "Sono felicemente vaccinato – dice – e mi sento bene. Nonostante siano passati quasi 65 anni da quella notte, il triste ricordo è sempre con me. Ero al mio undicesimo viaggio sulla Andrea Doria e avevo accettato di imbarcarmi, perchè i cuochi capopartita come me avevano uno stipendio mensile di circa 140mila lire, contro gli 80mila che si potevano guadagnare a terra. Era una discreta paga e poi era una nave magnifica".
Dopo lo choc cosa fece? "A ogni componente dell’equipaggio era stato indicato di recarsi in un determinato posto per assistere i passeggeri. Mi ritrovai quindi sul lato destro della nave per aiutare a scendere nelle scialuppe di salvataggio. C’era una confusione incredibile per la frenesia di abbandonare la nave, già molto inclinata. Fondamentale fu l’arrivo dei soccorsi da parte del transatlantico Ile de France che con le sue lance evacuò il Doria in sicurezza. Mentre io e centinaia di persone fummo presi a bordo dallo stesso Stockholm, che aveva la prua completamente schiacciata nella collisione, e portati a New York. Altri furono accolti dalle navi guardacoste statunitensi". Quale fu l’accoglienza? "Eccezionale, ci trattarono da eroi, così come il comandante della Andrea Doria, Piero Calamai. Ci ospitarono in albergo e dopo dieci giorni fummo rimpatriati. Dopo poco tempo venni richiamato in servizio dalla Compagnia Italia per imbarcarmi sul Giulio Cesare, l’altro transatlantico sulla linea Genova-New York. Non ne feci di nulla, perché ero ancora sconvolto dal naufragio. Ho poi continuato a fare il cuoco, gestendo locali anche a Firenze".