REDAZIONE MONTECATINI

Un giro di tonnellate di cocaina. Smantellata gang di professionisti

Una quarantina gli indagati dalla Dda di Firenze: tre risultano residenti a Larciano. Come operava la banda

L’inchiesta condotta dalle fiamme gialle è partita a marzo del 2021 (foto d’archivio)

L’inchiesta condotta dalle fiamme gialle è partita a marzo del 2021 (foto d’archivio)

Una quarantina, in tutto, gli indagati a vario titolo. Tre, di origine straniera, fra 35 e 40 anni, risultano residenti a Larciano. Sono finiti anche loro nella maxi inchiesta sulla presunta organizzazione criminale messa in piedi per gestire fiumi di droga. Un business per il quale si erano alleati – stando alle indagini – anche esponenti di ‘ndrangheta, camorra e una gang criminale albanese che operava con ramificazioni pure in Belgio, Albania, Francia, Germania, Ecuador e Colombia. L’inchiesta della Dda di Firenze – condotta dalla guardia di Finanza – ha smantellato un sistema articolatissimo di quella che ritenuta essere un’associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

Un’inchiesta – diverse le posizione nella vicenda degli indagati – condotta dalla Fiamme Gialle e partita a marzo 2021, con un controllo ad alcuni albanesi nel Pisano: sarebbe stato il primo bandolo di una matassa che nascondeva un giro internazionale intorno ai grandi affari con gli stupefacenti. Va infatti ricordato che in questa operazione sono state sequestrate oltre 2 tonnellate di cocaina, 45 chili di hashish, 20 chili di marijuana, che avrebbero fruttato circa 70 milioni di euro. A capo dell’organizzazione è ritenuto essere stato un albanese residente a Santa Croce. Degli indagati, 23 sono finiti in carcere e 6 ai domiciliari. Ma come operava l’organizzazione? Tecnologie avanzate, linguaggio criptico, arnesi e capacità di richiudere i contenitori una volta presa la merce.

C’erano i "recuperatori" e i "supervisori". Durante le indagini – si apprende – è stato rilevato che, per il monitorare le partite di narcotico, gruppi di indagati si avvalevano di moduii gps consultabili da telefoni dedicati tramite un’app. La cocaina recuperata la chiamavano “uscita”. Il passo decisivo era farla uscire dai porti. Operazione, questa, che era preceduta da appostamenti, con i membri della squadra a verificare il momento preciso, in cui il contenitore di loro interesse veniva portato fuori dagli spazi doganali per essere scaricato.

La droga arrivava in porti italiani e stranieri (Barcellona, Anversa, Rotterdam e San Pietroburgo in Russia) e viaggiava nascosta tra le casse di banane e frutta esotica. In una circostanza tre soggetti – si apprende – si sarebbero finti anche carabinieri nel vano tentativo di recuperare lo stupefacente perso: si sarebbero rivolti al titolare di un’azienda per ricercare il carico di banane che secondo i piani avrebbe contenuto lo stupefacente importato.

Carlo Baroni