Pescia, 9 agosto 2023 – Le cose. Si mostrano con la loro nuda evidenza: guanti da lavoro, tessuti, parti metalliche o legnose, ossa, amputate da quell'intero che un tempo è stato sedia, albero, corpo.
Sono il residuo di ogni singolo, temporaneo uso che ne è stato fatto. Ma, ora, sono anche molto altro. Per una volta si impongono, obbligano gli occhi, ci interrogano. La domanda, la reazione, lo scompiglio che provocano - come ogni opera d'arte degna di questo nome - è tutto interiore, è solo nostro. Loro 'stanno', motori immobili di turbamento e di fascinazione.
E' la più recente stagione, dal 2014 a oggi, di un ininterrotto cercare e comporre - nella grammatica dell'arte figurativa di Alessandro Ceni, poeta tra i nostri maggiori, traduttore aderentissimo ai testi e all'animo dei Grandi (tra i tanti segnaliamo Dickens, Melville e Joyce per Feltrinelli) - quella che ci coinvolge nella mostra 'Stato di cose', in corso alla Fondazione Poma Liberatutti di Pescia.
Opere che hanno la pericolosa bellezza una fiera: non ci si può accostar loro senza rischiare qualcosa, senza vacillare. Perché parlano quella lingua viva, arcaica, potente che - lo sappiamo bene - siamo perfettamente in grado di comprendere ma preferiamo ignorare, per poter proseguire a piantare i nostri sterili giorni nel solco, segnato ma comodo, dell'ovvietà.
Il rigore delle opere di Ceni è della stessa natura di quello degli inverni. Non illude coi germogli ma, pure, dentro quella scorza di cose esauste, oltre la corteccia dei suoi stecchi o l'apparenza residuale dei tronchi, oltre la metoninia delle mani e dei corpi (per via di assenza) si può indovinare - fingersi in qualche modo - la persistenza di un senso possibile. Ognuno senta, scelga, quale.
A tutto questo, che è eco di vita, di vite, Ceni offre una voce (evoca il loro 'essere stati') - torcendola nell'unica forma possibile oggi all'arte, nel paradosso, perfino nell'ossimoro: il silenzio eloquente.
Quello che si proclama nell'incerta fissità della materia, quasi statuaria pur nel suo inesorabile impermanere. Ancora un compito sembra restare, alle cose, prima di diventare - dissolte in puro colore - la polvere di pigmento, la distesa venata di quiete dello sfondo: indicare, essere segno del tempo, legate e composte in chiasmi, in rispondenze quasi musicali, in sorvegliatissime simmetrie cromatiche.
Ma è un procedere che implica fatica, l'approdare alla perfezione dell'annullamento dell'essere corpo, all'essenziale presenza di una bidimensionalità raggiunta come una conquista definitiva. Perché nell'arte di Ceni il vettore di una vanga è un altorilievo che tende allo stiacciato, alla progressiva abrasione che appiattisce i suoi doppi, ormai privi di spessore, spettri di persistenze che digradano in un mosso alone di luce netta, in un mistero.
Un'arte severa, dove un anello è non una promessa ma una costrizione, una pena necessaria, una sutura che trattenga ancora qui, sul velo di Maya, la forma straziata di una mano.
E in questa ultima stagione, in questo più recente percorso creativo, l'apparire e il riapparire - nel modo più scarno possibile - della traccia corporea umana approfondisce e incide con nuova potenza il messaggio che (ovviamente) Ceni non scandisce né tantomeno suggerisce, ma che agita chiunque abbia il coraggio intellettuale di misurarsi con il destino che conduce e imprigiona ogni cosa creata.
E se proprio l'uomo - nel quadro iconico di questa mostra, che la apre e la compendia - alla fine è soltanto un'assenza, tòrta, innalzata e mostrata in un capo di vestiario violato (come altrove in ossa esposte nel loro nudo biancore, nell'urlo gotico e scuro di un teschio d'animale), si impone, invece, incombe e quasi rassicura la fermezza persino classica dei fantasmi (parvenze sdutte come di remi, picche, ventilabri...).
Che sanno. Che - come direbbe lo stesso artista - 'stanno'. Numi tutelari ormai prossimi all'ultima elisione, quindi pressoché perfetti.
Oggi, attorno a noi, c'è chi produce trito decorativismo (e si illude di fare arte), c'è chi ipnotizza il mercato e gli sprovveduti con facili provocazioni (e sa di non fare arte ma scaltro commercio), c'è chi risponde alla voce della musa senza peraltro mai essere stato chiamato. E poi c'è chi l'arte la fa. Punto. Chi ci chiede di avere occhi fermi e guardare la vita, le esistenze - o quel che ne resta - per quel che sono, dicono, evocano con i loro corpi sfibrati. Tra questi - pochissimi in italia - sicuramente vi è Ceni. Così stanno le cose.
La scheda
'Stato di cose'
Mostra di opere di Alessandro Ceni realizzate dal 2014 al 2023.
Fondazione POMA Liberatutti - Pescia
Fino a domenica 3 settembre
Catalogo bilingue (italiano/inglese) di 64 pagine pubblicato da Edizioni Fondazione Poma Liberatutti nella collana PomArte. Curato da Marta Convalle, prefazione di Paolo Trinci, con una illuminante intervista all’artista di Andrea Pellegrini.