
Il piano di riarmo dell’Ue, promosso dalla presidente della commissione Ursula Von der Leyen, è un punto di svolta
Firenze, 23 marzo 2025 – Arriva sempre in politica il momento del disvelamento. Dopo due anni di pace più o meno forzata nel Pd sembra che il centrosinistra sia arrivato al suo punto di svolta. D’altronde come si fa a non dire niente di fronte all’enormità di quello che ancora succede in Ucraina? Come si fa a non prendere seriamente in considerazione le minacce di Vladimir Putin all’ordine mondiale? Per non parlare delle minacce di Donald Trump, che sta ridisegnando le relazioni internazionali. Bisogna avere davvero grande spirito atlantista di questi tempi per distinguere l’amministrazione Trump dagli Stati Uniti in quanto tali. Il voto dei giorni scorsi all’Europarlamento sul piano di riarmo dell’Unione Europea - non piace il nome? Lo si cambi, ma la sostanza resterà identica: qui c’è da difendersi - già rappresenta un punto di svolta.
Il fatto che il Pd si sia spaccato è in realtà una buona notizia. Non perché sia divertente vedere partiti in difficoltà, cerchiamo di capirci, ma perché se l’alternativa era la linea dell’astensione prescelta dalla segreteria Schlein allora molto meglio che sia emerso un dissenso legittimamente rappresentato dal voto di Giorgio Gori, ben argomentato nell’intervista al podcast delle Pecore Elettriche e su QN. La questione è: legittimo essere preoccupati per le ambizioni imperialiste di Putin. Ambizioni che peraltro devono convivere con l’unilateralismo di Trump, che ci dice in buona sostanza di arrangiarci. Essere preparati dunque è un dovere. Per questo è arrivato il momento del disvelamento.
L’idea di tenere «tutto insieme tutti insieme», come vorrebbe la dirigenza del Pd, non sembra essere convincente. Essere federali e federalisti, come dice Schlein, è possibile se c’è un’idea attorno alla quale essere in sintonia. La dirigenza dei Democratici da settimane invita Giorgia Meloni a decidere da che parte stare, riferendosi alla special relationship con la destra americana, ma per la verità lo stesso invito potrebbe essere rivolto al Pd. Da che parte sta? Con il M5S di Beppe Conte, che va a Strasburgo a dare lezioni di pacifismo posticcio, al limite dell’ignavia, o con chi pensa che il diritto alla difesa non possa essere garantito dalle bandiere arcobaleno?
Sta con chi teorizza e vede un «furore bellicista» anche dove c’è soltanto un desiderio di libertà e resistenza oppure preferisce la via, imperfetta ma perfettibile, indicata dall’attuale Commissione Europea? Non è che essere federalisti significhi vivere in un perenne fritto misto, in un Campo così Largo in cui c’è buio e tutte le vacche sono nere? C’è un malinteso senso di appartenenza tribale nel pensare che in un partito politico la discussione non sia consentita perché qualsiasi linea divergente altrimenti rischia di diventare un «attacco» alla segreteria nazionale. Gli Schleiniani di Origine Controllata (i SOC) usano il richiamo all’unità come un argomento retorico, ma di fronte agli sconvolgimenti che ci circondano è davvero stravagante etichettare come rompiscatole chi usa la propria etica pubblica e il proprio senso della Storia per dire un grosso grasso NO a chi vorrebbe fare a meno dei principi liberal-democratici, oggi pericolosamente sotto attacco.
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