La libertà di parola e il tribalismo di Trump

Non c’è solo l’identitarismo di sinistra. Ce ne n’è anche uno speculare di destra. Impossibile per me scegliere una parte. Nel non stare né con i censori di sinistra né con i censori di destra, vorrei aggiungere un punto: non ho capito perché uno diventi di sinistra se critica Trump

Donald Trump ed Elon Musk: hanno un concetto curioso della libertà di parola. E gli Stati Uniti s’interrogano

Donald Trump ed Elon Musk: hanno un concetto curioso della libertà di parola. E gli Stati Uniti s’interrogano

Firenze, 16 marzo 2025 – Le parole sono importanti, lo diceva già il principe Nanni Moretti. Lo sa bene anche uno come Donald Trump che ha usato Twitter, oggi noto come X, in chiave performativa, per far accadere cose con le parole. La nuova amministrazione Trump ha stilato un elenco di parole proibite, che non devono comparire nei documenti delle agenzie federali statunitensi. L’elenco è lungo e incompleto, i giornali americani se ne stanno occupando da giorni. Si va da “cultural differences” a “feminism”, da “gender ideology” a “hate speech”, da “immigrants” a “inclusion”, a oppression” e “polarization”. Sono tutte parole che, se comparissero in un documento ufficiale, verrebbero segnate in rosso e poi cancellate o modificate. Il che è sufficientemente assurdo per i cantori del free speech, come ha notato anche il New York Times. “Il presidente e alcuni dei suoi più stretti consiglieri, tra cui Elon Musk, si sono spesso presentati come paladini della libertà di parola.

Uno degli ordini esecutivi che il signor Trump ha firmato, nel suo primo giorno di rientro in carica, ha denunciato quella che è stata descritta come una campagna di pressione da parte dell’amministrazione Biden per soffocare i diritti del Primo Emendamento… facendo pressione sulle piattaforme tecnologiche”. “La censura del governo sulla libertà di parola è intollerabile in una società libera”, c’è scritto nell’executive order. In effetti, l’ufficio della presidenza degli Stati Uniti ha un enorme potere nell’orientare il discorso pubblico. Ma il gruppo di parole che si vuole far sparire suggerisce che “Trump e la sua amministrazione potrebbero essere più interessati a inibire la conversazione pubblica, almeno quando si tratta degli argomenti che non prediligono, piuttosto che ad ampliarla”, ha notato ancora il New York Times. Siamo davvero in presenza di un tribalismo trumpiano. “Le tribù digitali rendono possibile una forte esperienza identitaria e d’appartenenza: per esse le informazioni non rappresentano risorse di sapere bensì di identità”, ha osservato il filosofo Byung Chul Han. L’odierno tribalismo, peraltro, “divide e polarizza la società. Esso fa dell’identità uno scudo o una fortezza, che respinge ogni alterità. La tribalizzazione progressiva della società mette a rischio la democrazia. Essa conduce a una dittatura tribale dell’opinione e dell’identità, priva di qualsiasi razionalità comunicativa”. Non c’è soltanto l’identitarismo di sinistra, insomma. Ce ne n’è anche uno speculare di destra. Impossibile, per quanto mi riguarda, scegliere una parte. Nel non stare né con i censori di sinistra né con i censori di destra, vorrei però aggiungere un punto: non ho capito perché automaticamente uno diventi “di sinistra” se critica Donald Trump. Si può essere di destra e criticare Donald Trump. Si può essere capitalisti e criticare Elon Musk. Si può essere libertari e criticare la politica dell’inciviltà, si può aver amato “Elegia americana” di JD Vance e criticare l’attuale versione di Vance.

E si può persino riconoscere quando hanno ragione, se hanno ragione. Non è questione di camere dell’eco, che forse manco esistono: la stupidità del dibattito pubblico sta nel non cogliere le differenze.

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