REDAZIONE PISA

A San Rossore un’azienda biologica a km zero

Una sintesi tra ambiente e altissima tecnologia. Il presidente: "Ecco perché non possono tornare a pascolare le pecore a San Rossore".

Ambiente, qualità e tecnologia: sono le caratteristiche dell’Azienda Agrozootecnica biologica della Tenuta di San Rossore. Gestita direttamente dall’Ente e dai suoi operai, si compone di un allevamento di 200 bovini di tre razze diverse: mucco pisano, chianina e maremmana. A questi si aggiungono 3 dromedari e oltre 30 cavalli da monta e da tiro per il mantenimento della razza: i Monterufolini e i TPR (Tiro Pesante Rapido) che, caso raro in Italia, si riproducono allo stato brado. Gli animali hanno 500 ettari nella tenuta regionale per pascolare allo stato brado e sono nutriti con foraggio e fieno a chilometro zero prodotto grazie a 100 ettari coltivati a erba medica, orzo e tritacale con l’utilizzo unicamente di sostanze naturali. L’azienda, che si avvale della consulenza della società GreenGea, ha la certificazione biologica e lavora in regime di autosufficienza alimentare.

"L’agricoltura è la storia del territorio, del rapporto dell’uomo con la natura e riviste un ruolo fondamentale per l’Ente. Per questo puntiamo ad avere un’azienda sempre all’avanguardia dal punto di vista biologico – spiega il presidente del Parco Giovanni Maffei Cardellini – un modello da esportare anche all’esterno del Parco, che possa indicare la strada verso un’agricoltura sostenibile per l’ambiente e di qualità per la salute delle persone".

L’azienda unisce tecnologia e sostenibilità –

Nelle ultime settimane è partito il progetto AfarCloud, agricoltura digitale 4.0, che vede il Parco al centro di un progetto europeo Horizon 2020 per aumentare l’efficienza agricola e la salute degli animali. Sensori sui trattori analizzano i campi calcolando in tempo reale lo stato di salute del foraggio per ottimizzare il momento di raccolta del fieno. Le analisi del suolo danno le indicazioni per la semina, mentre altri sensori monitorano il valore energetico dei foraggi degli animali per eventualmente intervenire con un’integrazione alimentare mirata.

Con il "Pit pianura pisana" sinergia con le azienda agricole private per la manuntezione del territorio –

L’azienda agricola di San Rossore è stato il cuore del progetto "Pit pianura pisana’ che ha permesso all’Ente e ad altri partner pubblici e privati, tra cui 20 aziende agricole, di aggiudicarsi un finanziamento regionale di 3 milioni per la manutenzione del territoro, la protezione dal dissesto idrogeologico, la regimazione idraulica, l’utilizzo delle fonti rinnovabili, la valorizzazione della biodiversità, il recupero di aree degradate, l’incentivazione della filiera corta.

Azioni più efficaci per contenere gli ungulati -

Negli ultimi due anni sono incrementate le azioni per il contenimento degli ungulati, per mantenere un equilibrio che salvaguardi i boschi, la flora e le aree agricole. La popolazione di daini e cinghiali in eccesso è diminuita rispettivamente del 50% e dell’80% e sono stati attivati 13 dispositivi ad ultrasuoni per evitare che gli ungulati escano. Per aiutare gli agricoltori fuori dalla Tenuta, l’Ente seleziona personale volontario formato e diretto dalla Vigilanza e dai GuardiaParco, e annualmente indennizza in caso di danni alle colture.

Le pecore non pascolano da decenni a San Rossore. "No ai ricatti" -

Per quanto riguarda le richieste degli allevatori Ori e Del Sarto (vedi "La Nazione" di domenica) di far pascolare le pecore all’interno della Tenuta di San Rossore, l’Ente "ha spiegato più volte che non è possibile per due motivi. Prima di tutto l’azienda agricola del Parco è biologica, e non è possibile far entrare animali dall’esterno soprattutto senza certificazione biologica. Inoltre, come dice il comitato scientifico, non è possibile accrescere il numero di animali che pascolano in Tenuta. Le pecore di Ori e Del Sarto hanno sempre pascolato in terreni fuori dalla Tenuta di San Rossore, in altre aree in territorio Parco, mentre a San Rossore le pecore non pascolano da decenni. Per questo l’Ente trova strumentale e volgare il ricatto di chi si dice costretto a mandare le pecore al macello cercando di addossare la responsabilità al Parco".