
A dare la notizia è stato il figlio Cesare Faldini – ordinario di ortopedia e traumatologia all’Università di Bologna e direttore della I Clinica ortopedica e traumatologica dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna – con una toccante lettera sul suo profilo Facebook. E’ scomparso ieri il professor Alessandro Faldini, 85 anni, considerato uno dei padri dell’ortopedia moderna, e direttore, fino al 2006, della clinica ortopedica di Pisa e professore ordinario di Ortopedia all’Università di Pisa. Nato a Parma nel 1935, cresciuto in Perù per sfuggire alle persecuzioni razziali, si era laureato in medicina e chirurgia presso l’università di Milano nel 1960.
"Un punto di riferimento per tantissimi giovani medici, una persona “speciale” – come lo ricorda la presidente della Società della Salute Pisana, Gianna Gambaccini – che aveva fatto della medicina molto di più di una professione, come dimostra l’impegno per l’Africa con Orthopaedics Onlus, l’associazione da lui stesso fondata nel ’99 e a cui dopo il pensionamento si è dedicato quasi a tempo pieno con missioni in Tanzania, Guyana, Togo, Eritrea e Camerun". Lascia la moglie Carla, e il figlio Cesare, di cui riportiamo integralmente la lettera di addio che ha gli ha dedicato su Facebook.
"La vita ti ha dato una coltellata a dodici anni quando è morto tuo padre, costringendoti a diventare uomo. Oggi divento uomo io, ma di anni ne ho quarantanove… la stessa età di tuo padre quando se n’è andato. Grazie per questi 37 anni in più in cui ho potuto sentirmi ogni giorno il tuo bambino ed il figlio del numero uno. Grazie a te sono entrato in sala operatoria la prima volta senza paura: mi dovevi operare tu ai piedi. “Qui non si piange”, dicesti. Da allora ho sempre e solo sognato di fare quello che facevi tu, senza mai avere la presunzione o l’obiettivo di raggiungerti.
A me è sempre bastato essere il tuo bambino, sentirmi il figlio del numero uno. Mi hai curato le crisi di panico dopo il sequestro con la tua magica “terapia d’urto”: di un giro della casa al buio da solo, in cambio di una lezione di guida. Piangevo, ma resistevo, perché era troppo bello guidare a 10 anni la 500 in giardino con la ruota di scorta sotto al sedile per arrivare ai pedali. Un copione cinematografico in cambio di cinepresa e rullini: così è uscito “cappuccetto rosso” il mio primo film in super8. Mi hai ripreso dall’asfalto a 13 anni, investito più morto che vivo e mi hai curato: reduce del trauma cranico abbiamo preparato insieme la licenza media, ed in prima liceo, quando le cose andavano male invece di farmene una colpa mi hai mandato in officina, regalandomi gli strumenti per riprendermi. Solo un numero uno come te poteva intuire che troncare e saldare metalli era l’unica cura per tornare in carreggiata.
Una volta non mi hai aiutato: dovendo scegliere tra fisica, ingegneria o medicina, mi hai solo detto di inseguire i miei sogni ed io l’ho fatto: fare quello che facevi tu senza l’illusione di diventare bravo come te. Sono stato un tuo studente ma solo all’Università: in mezzo ai tuoi allievi ti ho apprezzato nell’ineguagliabile capacità di capire la sofferenza di chi avevi di fronte: hai sempre curato il paziente prima della malattia usando la tua potente carica umana per trasmettere coraggio, e nella vita accademica hai sempre messo al centro gli studenti ed i tuoi allievi. Hai insegnato ad operare senza egoismo, con l’esempio e mettendo ai tuoi allievi il bisturi in mano: ho perso il conto di quanti sono diventati primari. Non avrei mai lasciato Pisa senza la tua spinta, ma quante volte sono tornato a vederti operare… e che bello partire per l’Africa insieme. Un piano B per godere dei tuoi insegnamenti.
Ventuno anni fa la prima spedizione, quasi per scherzo: tanti lavori di riparazione in sala operatoria, e cinque interventi l’ultimo giorno. Ma un legame pazzesco che prese entrambi per tornarci e far funzionare le cose. Ogni anno 2 o tre viaggi, fino a oggi, con più di 3000 bambini operati. Andato in pensione, ti sei messo a disposizione totale dei paesi in via di sviluppo: in Camerun non hai regalato pesci, ma insegnato a pescare, fondando un reparto ortopedico e formando un chirurgo locale, così la tua opera non si fermerà mai. La tua Orthopaedics ONLUS continuerà sulle tue orme. In ventun anni di azione abbiamo saltato solo l’anno scorso, a causa del coronavirus, ma ci siamo e ci saremo. Averti come esempio inarrivabile mi ha insegnato a competere solo con me stesso, senza soffrire per l’impossibilità di raggiungerti. Ammettere la grandezza altrui è stata la tua forza, come hai fatto con lo Zio Franco, cui hai sempre riconosciuto di essere il numero uno, ed al il tuo amico Pier Giorgio che hai sempre chiamato scherzosamente “principale”. Anche nel dolore più profondo di una giornata che ho temuto di vivere da quando sono al mondo, il solo pensiero che tu ci sia dovuto passare a dodici anni, mi fa ringraziare di quello che ho avuto e che a te è mancato per arrivarci oggi a quarantanove anni. Arrivederci Babbo, il tuo bambino oggi è un uomo. Coraggio, avanti".