Pisa, 1 maggio 2023 – “Amore mio non so neanche da dove iniziare, come fare a dire delle cose che possano renderti giustizia, che possano far, se non capire, almeno intuire chi era Barbara”. Inizia così la straziante lettera di Michele Bellandi, compagno della psichiatra uccisa a Pisa Barbara Capovani.
Il compagno di Barbara pubblica su Facebook una lunga lettera in cui ripercorre i più bei momenti passati con la dottoressa, l’amore per i cani, per il suo lavoro, per la sua famiglia, le figlie.
"Eri cosi piccina, con quel tuo corpicino esile ma anche forte e scattante: un moto perpetuo, quasi impossibile da fermare, tanto che in famiglia ti avevamo soprannominata Kangurina (con la K). Bloccarti era compito arduo, farti stare ferma un’impresa monumentale. Per riuscire a vedere un film insieme davanti alla tv ci potevamo mettere anche 2 weekend interi”, scrive il compagno.
“Piccina è vero ma in realtà un vero gigante – sottolinea ancora Michele Bellandi –: entravi in punta di piedi nella vita degli altri e gliela cambiavi per sempre, come per magia, in un istante: la tua curiosità, la tua intelligenza. Il tuo coraggio ed il tuo intuito, la tua voglia di aiutare ti rendevano in grado di capire le situazioni e trovare soluzioni sempre e per tutti. Cosi in un attimo diventavi un punto di riferimento, e quelle persone che fino a poco prima non ti conoscevano, improvvisamente non potevamo più fare a meno di te. È buffo, per tanti anni hai lavorato al dipartimento delle dipendenze: ma nessuna droga ne dava di più della tua presenza. Persino per i tuoi amati cani, sempre ipnotizzati dal tuo sguardo profondo e penetrante. Ed i vari addestratori che amavi contattare per capire ogni singolo aspetto dei tuoi miglior amici, erano tutti allibiti: nessuno aveva mai visto una relazione cosi stretta ed una dipendenza cosi totale nei loro decenni di esperienza”.
"La tua dedizione al lavoro poi era totale. Non facevi il medico, eri nata medico: a 6 anni avevi deciso che avresti fatto la psichiatra e cosi è stato. La tua era una missione in cui hai sempre dato tutta te stessa. Non ti interessava la gloria personale, i soldi, rifuggivi l’apparire sui giornali. Eri pura sostanza, eri il fare verso l’apparire, avevi mille idee e una capacità di risolvere i problemi ineguagliabile. Ciò che ti guidava, come mi dicevi spesso, era ‘fare la cosa giusta, se cerchi di fare la cosa giusta tutto diventa più semplice’. Certo eri anche testarda e di una determinazione incrollabile ma soprattutto coraggiosa. Nessuna minaccia, nessuna offesa, ti scalfiva. Tutti quelli che, non di rado, provavano a metterti i bastoni tra le ruote, partivano sconfitti in partenza. I loro interessi individuali, spesso egoistici o comunque di parrocchia, si scontravano, non solo con la tua ferrea determinazione ma soprattutto con il tuo volere un qualcosa di superiore: tu non agivi mai per interesse personale ma solo con l’idea e la preoccupazione di far star bene i tuoi pazienti, proteggere i tuoi colleghi, appunto con l’idea di “’fare la cosa giusta’. Per questo eri imbattibile.
“Mi dicevi sempre – racconta ancora il compagno – che due cose ti avevano cambiato la vita: la filosofia e la statistica. Adoravi gli epicurei e cercavi sempre di semplificare le cose – come solo le grandi menti sanno fare- perché l’obiettivo principale dicevi ‘è semplicemente quello di stare bene’. La statistica la usavi per analizzare in modo razionale tutti i problemi: da quelli medici - il Pub-Med era la tua Bibbia - ma anche per superare le paure irrazionali come quella del volare, per farti guidare semplicemente dal calcolo delle probabilità, da vera donna di scienza”.
“In quanto tale poi, riuscivi sempre a relativizzare, a vedere le cose dall’alto, parlavi spesso dell’insignificativita dell’uomo, di quanto fossimo “irrilevanti” rispetto all’Universo, per non dire dei paralleli tra il cervello e le stelle che ti piaceva fare mantre saltellando da un lato all’altro della citta’ con la tua inseparabile bici, lasiciavi mille messaggi vocali a pazienti, colleghi, amici, magistrati e fisici passando da cose infinitamente piccole ad altre infinitamente grandi come solo la tua mente elastica e superiore era in grado di fare”.
“Ma soprattutto eri la nostra stella cometa, eri la luce della famiglia, dedicavi tempo a ciscuno, individulamente e poi tutti insieme, eri il centro delle nostre chiaccherate, con le tue affermazioni non di rado provocatorie. Spesso criticata , poche volte “riconosciuta” - almeno non in quello contesto- per tutto cio’ che facevi per noi, come tutti i grandi leader. Ci dicevamo spesso che da soli saremmo stati due “disgraziati” ma che insieme eravamo invincibili. Spero di trovare la forza per continuare ad esserlo anche senza di te al mio fianco, soprattutto per prendermi cura di ciò che era la tua preoccupazione più grande: ‘I tuoi bambini’.
Si conclude così la lettera: “Grazie per avermi accettato incondizionatamente, cosi come sono, ben conscia di tutti i miei difetti; grazie per tutto quello che mi hai insegnato e per aver lasciato a me e a tutti noi un esempio indelebile. Amore mio tu sarai qui, con noi, per sempre”.