di Saverio Bargagna
Vi sono persone che non finiranno mai sui grandi libri di scuola, ma hanno comunque scritto una parte della storia di una comunità. Barbara Capovani, 55 anni, tre figli, medico psichiatra e responsabile dell’Unità funzionale Salute Mentale Adulti dell’Usl ha tracciato un segno indelebile. Un tratto leggero come un sorriso, una riga marcata come la stanchezza delle faticose ore trascorse reparto, uno svolazzo leggero e profondo in chi la ama davvero. In una vita dedicata al prossimo in prima fila nella frontiera, spesso inaccettabile e complessa, di chi si confronta con le malattie mentali, Capovani ha lasciato il suo ultimo grande regalo. La famiglia ha deciso, infatti, di donare gli organi affinché il suo sacrificio salvi vite altrui. Un dovere compiuto fino in fondo, sempre sarà dalla parte di chi soffre.
La città piange la sua perdita dopo i giorni dell’attesa e della speranza, anche se fin da subito era apparso chiaro che le possibilità di salvarla erano appese a un filo. Troppo gravi le ferite, profonde e devastanti le lesioni causate dalle sprangate alla testa, per quanto i medici della Rianimazione abbiano tentato fino all’ultimo l’impossibile. Disperate e irreversibili le ferite dopo l’aggressione subita di fronte alla finestra dell’ufficio dove visitava in reparto. Eppure, chi l’amava, ne ha parlato al presente fino a pochi istanti prima della sua morte avvenuta ieri sera poco prima della mezzanotte. Un ricordo, fra mille, lo scrive Federica Grassi, collega della vittima, su Facebook. Un messaggio lanciato nell’etere come quello di centinaia di pisani. "Eccoti lì, trafelata e di corsa entrare in aula a medicina con quella massa indiavolata di capelli rossi – scrive – e gli occhi brillanti da cerbiatto. Sorridente, sempre e sempre di corsa, come se non avessi mai tempo per tutto. Ti ricorderò così, bella, gioiosa e piena di vita ed è angosciante pensare che la tua corsa sia finita così".
Una corsa che si è scontrata con un raptus omicida. La sua vita che si spegne, un’altra – grazie ai suoi organi – che torna a sperare. Un circolo di vita e di morte che non lenisce il dolore e che non ha un lieto fine: comunque non doveva finire così.