di Gabriele Masiero
PISA
"Al dolore enorme per questa tragedia, si associa una riflessione divenuta ormai ineludibile da parte di tutti: trova, purtroppo, sempre più spazio che la colpa di una determinata condizione sia degli operatori sanitari che non hanno trovato una soluzione. E questo aggiunge frustrazione e timori al dolore provocato da questo omicidio". Così l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto commenta la morte di Barbara Capovani e lo fa sulla falsariga dell’intervento del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, secondo il quale "il suo sacrificio è una testimonianza". "Le parole di Matteo Zuppi - dice Benotto a La Nazione - nascono anche da un confronto con la Curia pisana e spiegano bene il momento, complicatissimo, che stiamo tutti vivendo e che si è enormemente acuito dopo la pandemia".
Perché?
"Perché si è sempre più diffusa la non consapevolezza di quanto il lavoro di medici e infermieri sia difficile e a volte non risolutivo. C’è la non consapevolezza che alcuni mali non sono curabili, che certe malattie non guariscono e in alcuni, sempre di più, queste frustrazioni vengono scaricate proprio sugli operatori sanitari ritenuti responsabili della loro mancata guarigione. Del mancato superamento di un nostro limite".
Il limite, appunto. Oltrepassato sempre più di frequente.
"Sì e senza rendersene conto, o meglio senza riconoscere che non solo lo abbiamo, ma che non sono gli altri i responsabili di certe nostre condizioni. Esistono e basta e vanno gestiti. Si tratta purtroppo di situazioni, soprattutto nel campo della malattia mentale, che stanno crescendo e sulle quali tutti noi siamo chiamati a riflettere per cercare di porre rimedio".
Come?
"Innanzitutto non scaricando solo sugli operatori sanitari e sulle famiglie la gestione di queste difficoltà e per farlo occorre invertire una rotta che va avanti da molti anni e che è conseguenza dei tagli finanziari. Nel tempo si sono drammaticamente ridotte le strutture per accogliere queste persone, il personale per curarle. E che sempre più spesso sono anch’esse vittime delle tragedie e dei crimini che compiono. Ma questo discorso può essere esteso anche al resto della sanità, che non sembra essere più come prima: non sempre è capace di dare risposte a tutti (liste d’attesa, visite, esami) e chi se lo può permettere può rivolgersi alle strutture private, ma chi non riesce a farlo accumula ulteriore frustrazione che spesso si traduce in sconforto o, peggio, rabbia".