Cascina, 18 dicembre 2016 - E’ l'impresa delle imprese, ma vuole provarci con tutte le sue forze. Andrea Buscemi, neo direttore artistico della Fondazione Sipario Toscana Onlus che gestisce la Città del Teatro di Cascina, rilancia dopo le polemiche e punta alle cose da fare per dare futuro alla gloriosa struttura cascinese, oggi appesantita dai debiti accumulati negli anni.
Un impegno dal significato simbolico perchè?
«La Città del Teatro rappresenta parte essenziale di quel sistema teatrale “ufficiale” e consolidato del nostro territorio con il quale, devo riconoscerlo, non ho mai avuto buonissimi rapporti. Anzi, dal quale per anni mi sono sentito perfino estromesso».
Senza giri di parole, lei parla apertamente di ostilità.
«Nel tempo ho riflettuto a lungo sul perché di un simile atteggiamento e sono giunto ad una lucida conclusione: per quel sistema teatrale – in cui il sostegno politico è sempre stato molto importante – la mia stessa esistenza artistica (unico pisano che ha avuto il coraggio di confrontarsi con Roma e le vere Compagnie di prosa italiana) rappresenta certo un’inaccettabile anomalia nel mondo che si sono creati a propria immagine e somiglianza. Un mondo fatto di spazi e ricche sovvenzioni».
Adesso cosa è cambiato?
«Il vento politico sta cambiando tante cose: qualcuno scommetterebbe mai, ad esempio, sull’esito delle prossime elezioni per il sindaco a Pisa? La sbalorditiva affermazione di Susanna Ceccardi a Cascina ha dimostrato che quel sistema pseudo-culturale non si poggia nient’ altro che sulla politica dei partiti (ovviamente di sinistra)».
Ci sono state scintille in queste settimane con gli ex amministratori del teatro di Cascina...
«Mi ha fatto molta impressione la polemica di coloro che (persa la sinistra la roccaforte di Cascina) hanno dovuto rinunciare al ruolo direttivo e artistico che avevano nella Città del Teatro. Per me, abituato a dirigere teatri per poi fatalmente anche perderli (senza che questo mi abbia mai traumatizzato, perché so che fa parte del gioco), tante polemiche fomentate da chi ha esaurito il proprio mandato in Fondazione mi hanno perfino immalinconito, anche se non vi vedo la contrapposizione di una seria alternativa culturale. Ma vorrei dire loro che, se amano davvero il Teatro come ho sempre amato io, sarà proprio il Teatro a tendere loro la mano e a dargli nuove opportunità, spazi e occasioni. Anche se, per dimostrare di amare davvero il Teatro occorrerebbe sin da subito abbandonare certe pretestuose polemiche che non fanno male al sottoscritto, ma alla Fondazione stessa (che è un bene di tutta la comunità, non dimentichiamolo)».
Ma dovrà fare i conti con debiti importanti...
«La situazione, si sa, non è delle più rosee: vi è un grosso debito patrimoniale certificato. Il Comune di Cascina continua generosamente a fare la propria parte, ma oltre alle sovvenzioni ordinarie di Ministero e Regione, bisognerà che proprio quest’ ultima dia un ulteriore segno di lungimiranza per farci uscire dalle secche. Mi è di grande conforto la nomina di Nicola Rossi alla presidenza, perché manager capace (è da 15 anni l’ amministratore delegato di 50Canale, oggi un’azienda in crescita) e un amico che mi conosce sia nei pregi che nei difetti, così che in tandem si possa trarre il maggior profitto possibile dalla nuova gestione».
Come intende sviluppare la vocazione della Città del Teatro?
«Si tratta di uno dei pochi centri di produzione teatrale d’Italia. Tante potenzialità meritano un programma ambizioso e variegato che tenga conto della vocazione dello spazio (dedicato principalmente alle giovani generazioni e la nuova drammaturgia), ma che non può caratterizzarsi in operazioni unicamente di nicchia (come chiamare altrimenti testi dedicati all’identità di genere o sui diritti delle minoranze)?. Temi da affrontare, certo – il Teatro non deve avere limite alcuno –, ma che non possono essere l’unico segno di un luogo così importante. Senza contare che parecchie di queste operazioni di nicchia altro non sono che spettacoli francamente brutti, drammaturgicamente mediocri, recitati male, diretti in modo farraginoso, spesso anche volgari e pretestuosi (alcuni hanno perfino preso dei premi, alimentando un circolo vizioso di critici velleitari che premiano artisti velleitari)».
Da dove partire dunque?
«Iniziamo con un clima meno asfittico e più gioioso. Il traguardo è un teatro che sia davvero di tutti e principalmente un teatro del popolo e non più di una ristretta cerchia radical-chic che, al di là della spocchia che da sempre la caratterizza, sempre meno porta qualcosa di utile al Paese, anche culturalmente».