Tutti assolti perché "il fatto non sussiste". La maxi indicazione stradale crollò un giorno ventoso d’estate. In un pomeriggio con temporali. L’incidente accadde intorno alle 15 del 22 agosto quando il cartello a bandiera pesante (con le direzioni Firenze e Livorno) venne giù in un istante sulla carreggiata nord, della Fipili, quella che conduce al capoluogo toscano all’altezza di Cascina, sfiorando i veicoli in transito. Il fatto provocò molte reazioni, tra cui quella dell’allora sindaca di Cascina Susanna Ceccardi (Lega). La Procura apri un’inchiesta: la polizia stradale fece i rilievi e partirono le indagini per cercare di stabilire le cause di quella caduta così paurosa e pericolosa. Prima le iscrizioni nel registro degli indagati, poi, il rinvio a giudizio da parte della pm Flavia Alemi per i sei (funzionari, tecnici e amministratori delle aziende che si occupano della gestione e della manutenzione della Sgc).
Nei giorni scorsi la sentenza. L’ingegnere Carlo Ferrante (Città Metropolitana di Firenze), difeso dall’avvocato Francesco Marenghi di Pisa, l’ingegnere Michele Rosi, (global service-Rete viaria metropolitana), tutelato da Antonio Bertei del foro di Prato, la dottoressa Cecilia Tosi (Città Metropolitana di Firenze) che si è affidata all’avvocato Gaetano Viciconte, l’ing Claudio Nardecchia (Rti, che ha come capogruppo la Avr), avvocato Ludovica Giorgi di Lucca, il geometra Lorenzo Porciani (Rti), avvocato Silvia Palmerini e l’ingegner Leonardo Graziani (servizio del contratto global service), avv Elena Tori, sono stati tutti assolti (90 giorni per le motivazioni). L’accusa, con vari ruoli, era di disastro colposo. La pm aveva chiesto un anno.
Per circa due ore il traffico in direzione di Firenze fu rallentato, anche se la superstrada non fu mai chiusa. In quel tratto la viabilità fu consentita solo sulla corsia di sorpasso mentre gli agenti della stradale regolamentarono il passaggio e delimitarono la porzione di carreggiata dove ‘atterrò’ il cartello. Quindi, l’arrivo dei vigili del fuoco e dei tecnici dell’Avr. Resta al momento aperta la domanda: di chi fu la responsabilità?
Antonia Casini