CARLO BARONI E ANTONIA CASINI
Cronaca

Caso Scieri, Antico e la presenza in Caserma: "Non esiste la prova. Deve essere assolto"

Le motivazioni dei giudici di appello: "Decisivo in primo luogo la valutazione del quadro probatorio verso l’imputato: era o no alla Gamerra il 13 agosto del 1999? Non c’è necessaria sicurezza"

Emanuele Scieri

Emanuele Scieri

Pisa, 2 luglio 2024 – Non c’è la prova che Antico fosse in caserma. Dopo la proroga, sono state depositate le motivazioni sulla sentenza in corte d’appello per il caso della morte di Emanuele Scieri. Assolto in primo grado l’ex caporale Andrea Antico (tutelato dagli avvocati Fiorenzo ed Alberto Alessi), verdetto confermato in secondo grado. Il ragionamento principale è tutto nella "premessa" dei giudici (presidente Alessandro Nencini, Francesco Bagnai, a latere): "Va osservato che il tema delle modalità e delle cause del decesso di Emanuele Scieri rimane sullo sfondo in questo processo, perché ciò che è decisivo è - in primo luogo - la valutazione del quadro probatorio in ordine alla presenza di Antico nella caserma Gamerra la notte in cui Scieri è scomparso e poi deceduto". Nel dettaglio, "se le prove non consentono di collocare con la necessaria sicurezza l’imputato quella notte in quei luoghi, la dinamica della caduta della vittima diventa irrilevante".

L’allievo parà siracusano fu trovato senza vita il 16 agosto di ormai quasi 25 anni fa. Dopo la riapertura delle indagini in seguito ai risultati della commissione parlamentare d’inchiesta, sono finite nel mirino della procura di Pisa cinque persone: tre ex caporali, Alessandro Panella (difeso dall’avvocato Andrea Cariello) e Luigi Zabara (assistito dagli avvocati Andrea Di Giuliomaria e Maria Teresa Schettini), condannati dalla corte d’assiste di Pisa, a 26 e 18 anni (è pendente l’appello) e, appunto, Antico; con loro, anche l’ex generale Celentano e l’ex maggiore Romondia, assolti in primo grado: in secondo il procuratore generale ha rinunciato all’impugnazione. Per l’accusa, i tre "nonni" in "un delirio di onnipotenza" avrebbero ucciso Lele, facendolo cadere dalla torretta di asciugatura dei paracadutisti. Il quadro sarebbe "degenerato in ragione di una situazione contingente che ha privato di ogni lucidità gli imputati".

A sostegno della preemessa nelle motivazioni, si riportano le parole dell’imputato e il fatto che abbia "sempre sostenuto la stessa versione" e cioè risulta che ai carabinieri di Pisa il 13 marzo del 2000 abbia detto "di essere partito da Pisa in licenza il 12 agosto uscito dalla caserma alle 16.30, preso intercity per Roma e poi a Roma intercity notte delle 23.50 per Lecce, rientrato il 19 agosto alle 22". Di quel viaggio "l’imputato non è riuscito a fornire una documentazione, ma questo non è un dato decisivo perché a distanza di venti anni era praticamente impossibile". A questa ricostruzione "non vi è alcuna smentita - eccetto ovviamente le dichiarazioni del Meucci (il test considerato chiave, ndr )". E le intercettazioni confermerebbero questa versione. "Dalle conversazioni si comprende che gli interlocutori cercano riscontri al fatto che il 13 agosto del ’99 l’imputato era arrivato a casa in Puglia per godere la sua licenza, circostanza che nelle conversazioni intercettate appare come un dato veritiero, che gli interlocutori danno per assodato ponendosi solo il problema di riuscire a dimostrarlo". Secondari, in questa ottica, anche la veridicità del test chiave Meucci che viene comunque sviscerata dai giudici: le sue dichiarazioni vengono definite "deboli". La famiglia, il fratello Francesco e la madre Isabella si sono costituiti parte civile.