Pisa, 13 dicembre 2024 – “Riparare le articolazioni con biomateriali e stampanti 3D”. È la sfida di “Luminate”, il progetto di ricerca coordinato dall’Università di Pisa e finanziato dall’Unione Europea che partirà a gennaio sotto la guida di Giovanni Vozzi, professore del dipartimento di Ingegneria dell’informazione e del Centro di ricerca Enrico Piaggio. Un progetto che punta a fare la differenza in uno scenario in cui le lesioni della cartilagine risultano in aumento con un’incidenza annuale passata da 22 a 61 casi per 100 mila persone tra il 1996 e il 2011, a cui si aggiunge un rischio importante di sviluppo dell’artrosi post-traumatica. “È in questo quadro che vuole inserirsi ‘Luminate’ - spiega Vozzi -, migliorando la qualità di vita del paziente, riducendo la necessità di interventi chirurgici complessi e proponendo una soluzione meno invasiva”.
In che modo?
"Il nostro obiettivo nei prossimi quattro anni sarà sviluppare ‘Endoflight’, uno strumento chirurgico avanzato che utilizza una combinazione di tecniche di biostampa 3D, cellule del paziente e biomateriali per riparare le cartilagini delle articolazioni in maniera personalizzata”.
Come funziona il dispositivo?
"Ha una piccola telecamera che viene inserita nell’articolazione durante l’intervento per scansionare la lesione grazie a algoritmi di intelligenza artificiale. Dopodiché Endoflight la riempie con un biomateriale capace di integrarsi con i tessuti circostanti e promuovere la rigenerazione della cartilagine”.
In sostanza, quali sono i benefici?
"Oltre a quelli per il paziente, che vedrà accelerare i tempi di guarigione, ci sono quelli per il sistema sanitario. Velocizzare la rigenerazione del tessuto significa ridurre i tempi di degenza del paziente in ospedale e, di conseguenza, i costi per la sanità pubblica”.
E il costo del dispositivo?
"Sarà facilmente ammortizzato. Questo strumento è concepito come un accessorio usa e getta per un qualsiasi artroscopio già in commercio, con un costo stimato di circa 200 euro in più rispetto al dispositivo tradizionale. Le sfide che ci attendono sono altre”.
Si spieghi.
"A livello tecnico, la difficoltà sarà quella di ricreare il più fedelmente possibile la struttura del tessuto danneggiato, ma i maggiori ostacoli li incontreremo sul piano normativo. Bisognerà fare tutto ciò che è richiesto dalla Commissione Europea perché il dispositivo sia certificabile e possa essere utilizzato come clinical trial sugli esseri umani”.
La tappa finale, quindi, sarà la sala operatoria.
"Del resto, la cosa più bella di questo progetto è che vuole trovare un’applicazione reale, sia in ambito commerciale come prodotto che in ambito clinico, e per questo coinvolge partner industriali, accademici e clinici provenienti da nove Paesi”.
Come vede la chirurgia del futuro?
"Quello che prevedo è che sempre più queste tecniche e questi nuovi dispositivi saranno utilizzati nella realtà ospedaliera, fornendo ai medici un sistema più efficiente e sempre più orientato verso una medicina personalizzata”.