
Don Enzo
Capitani*
Povertà, poveri: diventano parole molto gettonate e inflazionate, sono parole usate da tutti, troppi. Non costa niente citare poveri e povertà, anzi, permette di sentirci più buoni, quasi che così ci è permesso di passare sopra tante responsabilità trascurate. Ma la povertà la si vorrebbe controllare, custodire e governare, contenere in luoghi separati soprattutto quando si fa visibile o turba la vita normale. Ecco perché si privilegiano due modalità di risposta apparentemente contraddittorie, ma di fatto omogenee: assistenzialismo e aumento di risposte che vorrebbero moltiplicare i contenitori. Occorre soprattutto cambiare mentalità e cultura; dobbiamo invece de-istituzionalizzare la povertà, renderla familiare, capace di scandalizzare, di farci sentire poveri cittadini, sfidati anche dalla nostra povertà, dalla nostra sofferenza che sta nella comunità e nei territori dove viviamo. Occorre de-istituzionalizzare il potere di chi aiuta, delle professioni che si difendono da questa inquietudine e urgenza, ecco perché liberarsi dall’assistenzialismo, da politiche sociali di controllo significa de-istituzionalizzare il nostro pensare, la nostra cultura. De-istituzionalizzare la povertà significa quindi, anche sfidare un’economia finanziaria dove il divario tra ricchi sempre più ricci e poveri sempre più poveri è in aumento e questo è intollerabile. La povertà, la sofferenza, non la si può cronicizzare, non è materia di propaganda.
Le politiche sociali non possono essere una parte dell’attività politica di un Comune, ma devono stare al centro. Dall’urbanistica, all’edilizia, alla scuola, tutto deve convergere all’attenzione alla persona favorendo ascolto, incontro e coinvolgimento, per crescere nella conoscenza reciproca e favorire l’incontro e il dialogo.
*Direttore Caritas
Diocesana Grosseto