Incontri ravvicinati urticanti. Ciò che era un’emergenza sta diventando una brutta consuetudine quella di fare il bagno tra le meduse (per fortuna tra quelle moderatamente urticanti) e di zigzagare sulla spiaggia tra altre meduse arenate. Gian Marco Luna è il direttore del Cnr-Irbim. Il suo istituto, pochi giorni fa, ha rivelato a livello europeo la presenza nel Mediterraneo di quattro specie di pesci, ‘alieni’.
È una percezione quella dell’aumento delle meduse sulle nostre coste?
"Assolutamente no. La proliferazione, per ora difficilmente contenibile, è un fatto accertato". Quali le cause?
"Molteplici, tra cui la temperatura delle acque e la pesca eccessiva".
Ci spieghi meglio.
"Le meduse adorano le temperature alte, non tipiche, fino a qualche anno fa, delle nostre acque. Il mediterraneo con l’Adriatico in primis ed il Tirreno subito dopo, risentono molto di questo aumento delle temperature. L’innalzamento delle temperature ha poi un effetto indotto che è quello di favorire la ’migrazione’ delle nostre specie autoctone verso il nord, favorendo allo stesso tempo l’insediarsi di specie tropicali. Allargando la nostra visuale, il Mediterraneo in sé è emblematico delle conseguenze negative del cambiamento climatico. Il nostro mare è un oceano in miniatura ed è un hot spot di biodiversità, ma anche un laboratorio ideale per misurare le conseguenze, purtroppo avverse, del clima sugli ecosistemi marini".
E la pesca, come incide?
"Fa venire meno i predatori apicali della meduse, vuoi tonni, cetacei, tartarughe, pesci Luna, etc. Il proliferare di meduse in un mare con sempre meno predatori porta a profonde alterazioni della rete trofica con feedback a cascata capaci di impoverire ancora di più il mare di pesci. Le meduse infatti si nutrono di zooplancton e possono ridurre quindi la quantità di cibo disponibile per le altre specie ittiche".
Altri fattori che hanno reso la medusa ’reginetta’ dei nostri litorali?
"L’antropizzazione. Pensiamo ai fiumi inquinati che poi sfociano nel mare, con il loro carico di nutrienti in grado di favorire le meduse rispetto ai pesci. O alle coste con veri centri urbani a ridosso o limitrofi al mare. Tutti fattori che danneggiano sempre più la salute dei nostri mari".
Che cosa fare nel breve-medio periodo?
"Devono essere adottate due misure: una globale, una locale. Il cambiamento climatico deve essere messo al primo posto delle agende politiche di tutti i governi, incluso il nostro. In parallelo, si può e si deve agire a livello locale, ed in questo senso devono assolutamente essere incrementate le aree marine protette. Ci sono studi consolidati che indicano che laddove sono istituite, gli effetti del cambiamento climatico appaiono mitigati; questi strumenti rappresentano un eccezionale strumento per aumentare la resilienza degli ecosistemi costieri. L’istituzione di queste aree marine protette spetta alla mano pubblica, alla politica. L’Europa chiede all’Italia di proteggere il 30% dei nostri mari entro il 2030. Il Pianeta sopravviverà. Non posso dire altrettanto dell’umanità".
Carlo Venturini