
E’ in parte da riscrivere la storia del Ponte della Vittoria, crollato due volte (poco prima dell’inaugurazione, nel dicembre 1931 e poi, distrutto durante la seconda guerra mondiale). Ne è convinto Marco Monaco, ex consigliere comuanle ed ex presidente del Consorzio di Bonifica FIumi e Fossi, ma da sempre appassionato di storia pisana. Tutto inizia con il ritrovamento di un reperto storico sul greto del fiume: "Un mese fa – racconta Monaco a ‘La Nazione’ – l’amico e antiquario Andrea Pochini mi fa salire sulla sua Vespa e mi porta al ponte della Vittoria, scendiamo sull’argine e mi fa vedere alcuni manufatti che affiorano sulla riva, tra i quali un grosso frammento di uno stemma sabaudo in pietra. La storia disgraziata del ponte è conosciuta ma questi manufatti, nessuno li aveva mai cercati e tanto meno visti. Andrea ha saputo dei reperti da un altro Andrea, Andrea Alaimo.
Tutto ciò mi incuriosisce e allora insieme all’avvocato Pietro Gustinucci facciamo alcune ricerche fino a risalire ai disegni del progettista, l’architetto Bazzani, il "padre" del ponte".
A questo punto Monaco consulta il volume "I ponti di Pisa" di Emilio Tolaini, dal quale si evince che "l’infrastruttura sostanzialmente crollò il giorno prima dell’inaugurazione nel 1931 e per “colpa degli ingegneri”. Confronto il testo di Tolaini con le tavole tecniche di Bazzani, e qui salta all’occhio subito un’incongruenza. Tolaini sostiene che il secondo ponte (ricostruito dopo il crollo del primo) fu opera di altri progettisti, ma dalle tavole da me rinvenute, emerge che fu sempre l’ingegner Bazzani a disegnare anche il secondo ponte".
La conferma arriva dall’Archivio Storico di Firenze, "dove rinvengo un documento intitolato ‘Crollo e ricostruzione del ponte della Vittoria di Pisa’ scritto dall’Ing. Domenico De Simone, presidente della commissione di inchiesta voluta dal Ministero dei Lavori Pubblici dell’epoca. Venti pagine di spiegazioni e foto che chiariscono che il ponte crollò "non per colpa di qualcuno o qualcosa" (più fonti parla no dell’eccessivo peso del marmo dei rivestimenti), bensì per l’eccezionale piena dei giorni precedenti che scalzò la pila sinistra e conseguentemente provocò il cedimento anche della pila destra. E da qui il crollo. Il ponte era stato progettato a tre arcate uguali: la commissione d’inchiesta analizzò il terreno dell’alveo, consegnando alcuni campioni al “Laboratorio di meccanica delle Terre” di Milano. Un’analisi non fattibile nel 1928, anno in cui fu bandito dal Ministero il progetto del primo ponte, perché allora i laboratori abilitati per quel tipo di esame ancora non esistevano".
Ma cosa certificò quell’analisi? "Che il ponte sarebbe crollato ugualmente perché poggiava su un terreno argilloso: ‘Questa argilla contiene il 60% di acqua e ciò, che è più grave, che tal contenuto in acqua è prossimo a quello del limite di fluidità...’. Il risultato dell’indagine scagionò totalmente disegnatori e progettisti, tanto che il disegno del secondo ponte fu affidato nuovamente proprio a Bazzani. Però il secondo ponte venne progettato non più a tre luci identiche bensì con due luci laterali più piccole rispetto alla centrale per permettere un nuovo posizionamento delle pile e a una profondità maggiore".
"Insomma – conclude Monaco – il primo ponte non crollò per i carichi eccessivi del marmo o, come ho letto su alcuni testi, per la presenza di pesantissime statue che non ci sono mai state. Ai due accessi del secondo ponte, sulla sponda, vennero collocati dei cippi ornamentali secondo lo stile dell’epoca, ornati con grandi stemmi sabaudi e fasci littori. Uno di questi stemmi affiora adesso dalle acque e meriterebbe di essere recuperato, come testimonianza della storia della città e di un ponte progettato due volte dall’ingegner Bazzani, il quale peraltro non partecipò alla seconda inaugurazione nel 1939, non perché allontanato, come ancora si legge su alcuni testi di storia pisana, ma semplicemente perché era deceduto nel frattempo".