SAVERIO BARGAGNA
Cronaca

Enrico Galiano: "Nessuno ascolta davvero i nostri giovani. Ci danno fastidio"

Il famoso professore delle medie e scrittore al fianco dei ragazzi "Vorremo che stessero sempre zitti e buoni al proprio posto. E quando dicono che non ’è normale’ ci affrettiamo a giudicarli".

Enrico Galiano: "Nessuno ascolta davvero i nostri giovani. Ci danno fastidio"

Enrico Galiano: "Nessuno ascolta davvero i nostri giovani. Ci danno fastidio"

"Ci riempiamo continuamente la bocca con le parole: organizziamo incontri e dibattiti per togliere i giovani davanti ai tablet e ai cellulari, ma poi nessuno ha davvero voglia di stare a sentire che cosa hanno da dire. Ci danno fastidio, vogliamo lasciarli fuori da ogni dibattito". Enrico Galiano, insegnante di italiano, storia e geografia alle scuole medie di Pordenone è uno dei professori più noti d’Italia. Ha creato la webserie ’Cose da prof’ che ha superato i venti milioni di visualizzazioni su Facebook e ha dato il via al movimento dei #poeteppisti, flashmob di studenti che ’imbrattano’ le città di poesie. E’ anche uno scrittore di successo. "Il video degli scontri? Certo, ho visto. Come tante persone anch’io mi sono chiesto se fosse ‘normale’ e mi sono immediatamente dato una risposta".

Quale?

"Non lo è affatto. Ma sono rimasto anche colpito dalla reazione davanti a simili immagini. Tante persone sui social scrivono: ‘Il corteo non era autorizzato. Non è regolare’. Ma come fate a non accorgervi della sproporzione fra le eventuali irregolarità di un corteo e le botte? Stiamo parlando di ragazzi presi a manganellate anche in pieno volto. Abbiamo perso il senso della misura".

Forse perché, come sostengono alcuni esperti, questa società non capisce i giovani?

"Non capiamo i giovani perché non abbiamo voglia di ascoltare. Il mondo adulto li vorrebbe buoni-buoni, sempre tranquilli: ‘Non dovete protestare’. ‘Non dovete alzare la voce. Ci date noia’. Mi sembra di capire che, per quanto ci riempiamo la bocca di buone parole, nella realtà dei fatti, ogni volta che un giovane manifesta il proprio disagio, a noi non piace e ci disturba. Che i ragazzi parlino di clima; che parlino di pace o che lancino una bottiglia di succo di pomodoro sul vetro di un’opera d’arte la prima e unica cosa che facciamo è giudicare".

E’ un problema di ascolto, quindi?

"Dovremmo dare un microfono ai giovani e non toglierlo sotto il naso. Dare loro la possibilità di dire: ‘Allora, qual è il problema? E quali soluzioni proponi?’. Ma nessuno di noi ha davvero voglia di sentire gli under 30. Anche in politica: quanti ragazzi sotto i 30 anni riescono davvero a far arrivare la propria voce? Bene, rispondo io: nessuno riesce. Vogliamo lasciarli fuori e dire che è tutto normale".

Come canta Ghali, appunto.

"Che infatti riesce a parlare a questa generazione con la sua poesia. Ha ragione il cantante quando dice: ‘A voi sembra davvero tutto normale?’. E’ un modo sintetico e incisivo per esprimere il disagio di una generazione. E’ efficace".

Quindi non c’è speranza?

"No, vedo anche speranza. I ragazzi non sono soli. La piazza di Pisa lo ha dimostrato: è stata la reazione di pancia di un popolo. E’ mutata anche la sensibilità verso alcuni atteggiamenti delle forze dell’ordine dopo i fatti del G8. Oggi c’è maggiore attenzione e si individuano più facilmente gli eventuali responsabili degli abusi. Certo...".

Che cosa?

"La strada da percorrere è ancora lunga. Sono favorevole, ad esempio, al numero di serie sul caschetto degli agenti. Questo per la tutela di tutti: anche dei tanti poliziotti che non devono pagare gli eccessi di pochi altri".

Secondo lei in Italia vi è un problema di censura?

"Il pericolo più grande è quello dell’autocensura. Rimaniamo sugli ultimi fatti di Sanremo con la Rai che cancella o oscura il pensiero di alcuni cantanti perché stanno esprimendo una propria opinione politica. Il pericolo che stiamo correndo è quello di non voler sentire, non voler vedere cosa accade intorno a noi così da tutelare il pubblico borghese affinché non resti infastidito dall’attualità che è scomoda. Siamo noi stessi, quindi, a non voler sentire le voci degli altri e facciamo finta che tutto vada bene. Quindi non parlerei tanto di una censura dall’alto ma di un’autocensura che arriva dal basso".