Pisa, 28 ottobre 2014 - MORÌ a causa dell’antrace Arrigo VII, l’imperatore del Sacro Romano Impero sepolto a Pisa, nella Cattedrale, e riesumato alla fine del 2013 per studiarne i resti ossei, poi ricomposti nel sarcofago di Tino da Camaino dopo i rilievi antropologici e patologici. Le analisi sulle spoglie dell’Imperatore, eseguite dal professor Francesco Mallegni, direttore del Museo Archeologico e dell’Uomo «Blanc», scardinano le convinzioni tradizionali e gettano ora nuova luce sulle cause della morte dell’Alto Arrigo. Malaria? Avvelenamento? Mallegni non ha dubbi: «Enrico VII si ammalò di antrace e gli fu fatale l’arsenico, usato come curativo per la grossa piaga nera che gli si era formata ad uno dei ginocchi». Svelato anche il rituale funerario, oggetto di aporie fra gli studiosi: bollito nell’acqua o nel vino?, bruciato? Mallegni finalmente fa chiarezza e le sue scoperte trovano conferma nelle fonti storiche, le più coeve all’Alto Arrigo - Mussato in particolare -, consultate da Maurizio Vaglini, storico della medicina e direttore del centro interregionale per la documentazione biomedica a di Roma. Professor Mallegni, andiamo con ordine. Come fu contagiato dall’antrace l’Alto Arrigo? «Il carbonchio o antrace è un germe che viene trasmesso dagli animali. E’ assai probabile che l’imperatore lo abbia contratto dal cavallo. Morì dopo un anno perché la piaga fu curata a lungo con il solo rimedio possibile allora: unguenti a base di arsenico. Ho difatti ritrovate tracce consistenti di questo veleno sulle ossa del cranio. Esso penetra nelle carni e rimane sui capelli. Quando il cranio dell’imperatore fu bollito a parte dal resto del corpo, i suoi capelli rilasciarono una gran quantità di veleno che si è poi depositato sulle ossa». Ecco, spieghi il rituale della bollitura. «Era una pratica usuale che consentiva di trasportare i morti lontani dalla patria. Bonifacio VIII emanò una bolla di scomunica per chi la praticasse. Ma Arrigo morì a 40 anni a Buonconvento, vicino a Siena, e doveva essere trasportato in fretta a Pisa, dove aveva chiesto di essere sepolto. I suoi cavalieri dapprima gli tagliarono la testa per separarla dal resto del corpo e poi fecero bollire le due parti separatamente per otto ore. Poi, fu spolpato e le ossa, all’infuori del cranio, destinate a una pira di fascine». Bollito nell’acqua o nel vino? «Solo acqua. I prelievi che ho inviato a Gabriele Scorrano del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata e all’équipe del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento hanno confermato, l’uno all’insaputa dell’altro, che i resti di Arrigo furono bolliti in acqua. Non fu usato il vino, come era solito fare per profumare le spoglie e come scrivono fonti posteriori. Quali altri particolarità ha scoperto? «I segni dei muscoli sulle ossa dell’arto inferiore parlano di uomo che andava molto a cavallo, pratica che portò a un irrobustimento degli arti inferiori che non trova riscontro con quelli superiori. La lettura dei tratti mandibolari ci fa capire che soffrì di bruxismo, digrignamento involontario dei denti, che unito a un tic di cui soffriva all’occhio sinistro e di cui parlano le fonti, fa pensare a una persona alquanto tesa, mentre le fonti lo descrivono calmo e pensoso. Dallo studio delle osse ha potuto ricostruire il volto di Arrigo. Com’era? «Le fonti parlano di un uomo di faccia gradevole con naso sottile e appuntito e dallabocca ben formata. E la ricostruzione operata da Gabriele Mallegni non se ne discosta. Rispetto al ritratto sul sarcofago di Tino da Camaino il suo mento era squadrato, insomma virile e non affilato; posso dimostrarlo inserendo in trasparenza virtualmente il cranio sul volto scolpito da Tino».