Pisa, 17 gennaio 2025 – L’epatite B e C nelle comunità più emarginate nella Toscana sono molto più frequenti e colpiscono molti più giovani rispetto alla media nazionale. È il risultato di uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Pisa e di Firenze, che hanno monitorato l’incidenza delle infezioni sui gruppi marginali della popolazione grazie a una serie di campagne di screening pluriennali.
Inoltre, grazie alla collaborazione e al filo diretto con unità assistenziali di Firenze, Empoli, Prato e Pistoia, i soggetti positivi hanno avuto accesso all’assistenza clinica e, se necessario, alla terapia. Il progetto, durato dal 2019 al 2024, ha testato marcatori per le infezioni da Hbv e da Hcv in 1.812 soggetti che frequentano mense popolari, centri di accoglienza, scuole di italiano per stranieri nelle aree metropolitane di Firenze, Prato e Pistoia, rilevando che il 4,4% dei partecipanti era positivo all’HBsAg, segno di infezione attiva, mentre il 2,9% presentava anti-Hcv, indicativi di un’esposizione al virus. La positività a Hbv era più frequente tra gli uomini (91%) e individui di origine non italiana, provenienti soprattutto da aree con basse coperture vaccinali. I partecipanti positivi a Hcv includevano una maggiore proporzione di cittadini italiani (51,9%) con storie di marginalità estrema spesso legate ad un pregresso consumo di droghe per via endovenosa. Lo screening è stato effettuato direttamente presso le strutture di accoglienza, con test rapidi su sangue capillare e risultati disponibili in pochi minuti.
Questa strategia ha garantito un’alta adesione, pari all’82%. Inoltre, il 66,3% dei positivi a Hbv e il 37,8% di quelli a Hcv hanno intrapreso un percorso di monitoraggio o cura, in base alle valutazione clinica e tra i pazienti con infezione Hcv attiva, tutti quelli trattati con farmaci antivirali hanno ottenuto la guarigione. “Le infezioni da Hbv e Hcv - spiega Laura Gragnani, una delle autrici dello studio e ricercatrice del dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa - possono evolvere in gravi patologie come la cirrosi e il tumore al fegato e molti dei soggetti colpiti non sono consapevoli della loro condizione fino alle fasi avanzate della malattia. I risultati raggiunti col nostro studio dimostrano l’importanza di strategie di screening mirate per ridurre le disuguaglianze sanitarie, ridurre la circolazione di questi virus nell’intera comunità e raggiungere l’obiettivo dell’OMS di eliminare le epatiti virali come minaccia infettiva entro il 2030”. “Questa ricerca – aggiunge la prima autrice dello studio Monica Monti, del Centro MaSVE dell’Università degli Studi di Firenze – ha inoltre evidenziato l’importanza di ‘agganciare’ e curare i soggetti marginali che spesso non accedono ai canali ufficiali di assistenza sanitaria”.