
Sino a dieci anni fa, consultando i testi di cardiologia, l’amiloidosi cardiaca veniva descritta come una malattia rara, difficile da diagnosticare, senza sostanziali prospettive terapeutiche e con una prognosi infausta. D’altra parte, per poche altre malattie in medicina, si è assistito recentemente a un così rapido incremento nella consapevolezza da parte dei clinici, nell’interesse scientifico, così come nella disponibilità di strumenti diagnostici e terapeutici.
L’amiloidosi Al, legata a malattie ematologiche come il mieloma o le gammopatie e l’amiloidosi da transtiretina, nelle forme mutata e senile, sono i due tipi principali, entrambi all’origine di un quadro di scompenso, legati all’infiltrazione del cuore da parte di materiale fibrillare insolubile, stanno entrando nel linguaggio comune dei professionisti, numerosi, coinvolti nella loro gestione, in particolare il cardiologo, l’ematologo, l’internista, il medico nucleare.
Se questo è accaduto, è stato per merito della visione e dell’attività pionieristica di alcuni centri di riferimento, in particolare il Centro per lo studio e la cura delle amiloidosi sistemiche di Pavia, nella figura del professor Merlini e dei suoi collaboratori e della Scuola Bolognese, con a capo il professor Rapezzi. Tra gli altri, essi hanno avuto il merito di costituire una rete, a livello nazionale e internazionale, per l’assistenza e per la ricerca sulle amiloidosi.
Negli ultimi anni, la Fondazione Toscana Gabriele Monasterio con un gruppo di medici e ricercatori coordinati dai professori Michele Emdin e Claudio Passino, in particolare Giuseppe Vergaro, Andrea Barison, Dario Genovesi, Valentina Spini, Assuero Giorgetti, Alberto Aimo, Vincenzo Castiglione, tra gli altri, ha concentrato il proprio interesse clinico e scientifico sulle amiloidosi.
Il risultato è stato un incremento significativo delle diagnosi, spesso ottenute precocemente, la creazione di una serie di collaborazioni polispecialistiche, in particolare con l’Ematologia pisana (professor Gabriele Buda, professor Mario Petrini), e l’avvio di diverse iniziative di formazione per medici specialisti e medici di medicina generale, come le due "Amyloidosis masterclass", e di sperimentazioni cliniche sull’epidemiologia, le caratteristiche cliniche e sui nuovi strumenti farmacologici.
Tra gli altri, sono in pubblicazione sulla rivista "JACC: Cardiovascular Imaging", i risultati di uno studio sull’utilizzo di traccianti PET con fluorbetaben nell’amiloidosi da catene leggere delle immunoglobuline che potrebbero, in futuro, consentire una diagnosi non invasiva, senza necessità di ricorrere all’esecuzione di biopsie da tessuto periferico o da tessuto cardiaco. L’attenzione verso il paziente, l’approccio multidisciplinare e le più recenti acquisizioni in ambito di ricerca sono condensati nel libro in prossima pubblicazione intitolato "Amiloidosi cardiaca: come si diagnostica, come si cura" curato dai professori Emdin e Passino, entrambi docenti di cardiologia presso la Scuola Sant’Anna di Pisa, e dal dottor Giuseppe Vergaro, edito dalla Pisa University Press.
Il testo vede la partecipazione di numerosi specialisti, molti dei quali afferenti alla Fondazione Monasterio, e di allievi della Facoltà di Medicina di Pisa e della Scuola Sant’Anna, e ripercorre tutti gli aspetti della fisiopatologia, del processo diagnostico, con particolare attenzione ai biomarcatori circolanti ed alle metodiche di imaging avanzato, come la medicina nucleare e la risonanza magnetica cardiaca, fino alle più recenti acquisizioni nella terapia farmacologica e nella gestione clinica. Lo scopo ultimo del libro è, dunque, nelle parole di Michele Emdin, quello di "contribuire a migliorare la qualità e la quantità di vita dei pazienti con amiloidosi attraverso la formazione e la sensibilizzazione dei professionisti della salute".