REDAZIONE PISA

Gli diagnosticarono uno strappo muscolare, ma morì d’infarto dopo poche ore: risarcimento alla famiglia

Il tribunale di Pisa ha ha condannato l'Azienda ospedaliero universitaria e un medico del pronto soccorso a risarcire i familiari dell'uomo, con oltre 1,6 milioni di euro

Tribunale (immagine di repertorio)

Tribunale (immagine di repertorio)

Pisa, 28 dicembre 2024 – Dimesso dall'ospedale con la diagnosi di uno strappo muscolare, morì poche ore dopo per un infarto. Accadde a gennaio 2010, vittima un imprenditore edile 29enne di Cascina ( Pisa): adesso - quasi 15 anni dopo - il tribunale civile di Pisa ha condannato l'Azienda ospedaliero universitaria e un medico del pronto soccorso a risarcire i familiari dell'uomo, Giovanni D'Angelo, con oltre 1,6 milioni di euro.

L'imprenditore iniziò ad accusare dei dolori al mattino mentre stava lavorando in un cantiere edile a Cascina. Così, attorno a mezzogiorno, il padre lo accompagnò alla Misericordia di Navacchio. Dopo una prima visita venne trasportato in ambulanza, con codice rosso, al pronto soccorso all'ospedale Santa Chiara di Pisa. Al triage gli fu assegnato un codice verde e dopo una serie di analisi, venne sottoposto anche a elettrocardiogramma, fu dimesso dal medico che lo aveva visitato con la diagnosi di uno strappo muscolare e la prescrizione di un antidolorifico. Non passarono però i dolori alla parte sinistra del torace e la stessa sera D'Angelo morì, ucciso da quello che l'autopsia avrebbe diagnosticato essere un infarto del miocardio in corso da almeno 12 ore. I familiari ricordarono come l'uomo temesse di avere un problema cardiaco perché già il padre aveva avuto un infarto ed era stato operato; parlarono di «sottovalutazione del malore», poiché, ad esempio, non gli furono fatte le analisi del sangue. Da qui la querela presentata ai carabinieri dai familiari del 29enne. Sposato e diventato padre di una bambina da appena quattro mesi. Quindi l'apertura di un'inchiesta della procura di Pisa e l'iter giudiziario. Nella sentenza il giudice ha rigettato in parte le conclusioni dei consulenti tecnici d'ufficio che nel redigere la perizia si sono basati in gran parte sulle dichiarazioni degli stessi sanitari coinvolti nell'assistenza all'imprenditore. In particolare, secondo il tribunale di Pisa, non è convincente il fatto che D'Angelo non avesse riferito la familiarità a malattie cardiache, come aveva fatto invece con la prima dottoressa che lo visitò. Inoltre, i consulenti nominati nel giudizio penale avevano stabilito che l'elettrocardiogramma mostrava indizi di possibili problemi cardiaci. Indizi che per il giudice si sarebbero dovuti approfondire con la consulenza di uno specialista che, invece, non venne disposta. Da qui la condanna al risarcimento per l'Azienda ospedaliera di Pisa e del medico che visitò D'Angelo, in attesa che arrivi a sentenza definitiva il processo penale, ritornato in Appello, dopo che il medico assolto in primo grado e condannato in secondo, aveva fatto ricorso in Cassazione.