Granchio blu "Il primo è arrivato nel 1949..."

Luca Rindi, ecologo marino, ricercatore e docente Unipi: "L’invasione ha avuto risonanza solo quando è diventata problema economico"

Quando il mar Tirreno diventa un mar del tropico. Tra segnalazioni social e temperature soffocanti, gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti, anche sulla nostra costa. "Il Mediterraneo per conformazione è un bacino per lo più chiuso: è collegato all’Oceano Atlantico attraverso lo stretto di Gibilterra, che è un canale molto stretto. Dunque, qualsiasi effetto del cambiamento climatico, che avviene a livello globale - riguardante la circolazione atmosferica o altro - ha un effetto amplificato nel bacino Mediterraneo". È quanto spiega l’ecologo marino Luca Rindi, ricercatore e docente dell’Università di Pisa. "Il fenomeno della tropicalizzazione del Mediterraneo viene studiato da anni, non è un tema nuovo. La differenza sta nel fatto che i suoi effetti vengono maggiormente percepiti anche dal grande pubblico, per via dell’avvistamento in mare di specie tropicali o subtropicali", commenta il ricercatore. Tra le specie tropicali avvistate ci sono il Pesce Scorpione, che ha caratteristiche invasive, la Caravella Portoghese, specie d’idrozoo che possiede tentacoli molto lunghi estremamente urticanti, e infine il famoso Granchio Blu, protagonista da settimane di un vero e proprio polverone mediatico.

"Fa riflettere come, da un problema di ambito ecologico, la questione dell’invasione del Granchio Blu abbia avuto risonanza solo quando è diventato un problema anche di natura economica. Esistono agenzie ambientali, come l’Arpat, che da anni raccolgono dati e studiano il fenomeno del Granchio Blu, e erano già note le sue caratteristiche altamente invasive. Le conoscenze e i dati in nostro possesso avrebbe permesso l’attuazione di politiche gestionali preventive, nonostante il Granchio Blu sia stato avvistato la prima volta nel ‘49 nella Laguna di Venezia. Adesso possiamo combatterlo a tavola, attraverso una pesca mirata", riflette Rindi. "Tra gli effetti del cambiamento climatico abbiamo poi la cosiddetta "gelificazione" del Mediterraneo: si sta verificando un aumento di meduse, alcune più pericolose e urticanti. Si tratta di una problematica difficile dal punto di vista gestionale: anni di pesca eccessiva hanno severamente danneggiato molti stock-ittici e dunque i predatori e i competitori delle meduse sono sempre meno. In Asia la medusa è diventata parte dell’alimentazione quotidiana: non c’è solo un guadagno economico, ma l’uomo contribuisce al suo controllo e ne impedisce un’eccessiva proliferazione", conclude. E per quanto riguarda la situazione della costa pisana: "Quest’anno non abbiamo avuto particolari segnalazioni sul litorale, che invece ha avuto problemi più sul fronte dell’erosione della spiaggia. Spero che i nuovi progetti che verranno fatti in futuro, per salvaguardare la costa, tengano in considerazione gli effetti del cambiamento climatico e il possibile innalzamento del mare, che secondo i modelli previsionali dovrebbe superare il metro entro il 2100".

Giulia De Ieso