Guardie mediche di frontiera: "Aggredita più volte dai pazienti"

Ilaria Mantellassi del presidio di via Garibaldi: "La violenza di alcuni cittadini si riversa sul nostro servizio"

Guardie mediche di frontiera: "Aggredita più volte dai pazienti"

Ilaria Mantellassi (. Del Punta-Valtriani

di Mario Ferrari

PISA

"Non siamo la valvola di sfogo delle persone. Aggredire gli operatori sanitari è un crimine che, peraltro, rende i luoghi di cura meno efficienti". Ilaria Mantellassi, guardia medica del presidio Asl di via Garibaldi che accoglie 25mila persone ogni anno, racconta la sua esperienza in questo momento complicato per il personale sanitario.

Come vive una guardia medica?

"Questo non è un periodo facile. Essendo la prima frontiera di accesso per i cittadini, spesso coloro che si presentano da noi a notte fonda sono tossicodipendenti o spacciatori che cercano farmaci come surrogato di stupefacenti. E si tratta di persone spesso molto poco accomodanti, per usare un eufemismo".

Lei è mai stata aggredita?

"Purtroppo sì. È all’ordine del giorno ricevere insulti e, per quanto sia brutto da dire, ci stiamo abituando. Una volta però un individuo, particolarmente agitato e con tono rabbioso, mi disse guardandomi negli occhi ‘’so dove abiti e so chi sei, ti ammazzerò’’. Quell’evento mi ha turbato molto".

Cosa chiederebbe per maggiore sicurezza?

"Un’idea potrebbe essere un presidio fisso di polizia che intervenga o delle divise che pattugliano la zona. Insomma, figure che facciano da deterrente giorno e notte e garantiscano quella tranquillità che non sempre c’è".

Non vi sentite molto sicure?

"Senza dubbio la Asl si sta impegnando per tutelarci, ma non c’è un clima sereno nei nostri luoghi di lavoro. Ormai stiamo sempre sul ‘chi vive’ e non ci sentiamo troppo sicure, soprattutto la notte, all’uscita siamo sole. Per non parlare delle cure domiciliari".

Cosa intende?

"Che, per capirci, ormai andiamo sempre in due persone a prestare assistenza a casa. Ci sono capitate aggressioni e minacce anche in quei contesti e non ci fidiamo ad andare da sole, soprattutto noi donne, a casa di sconosciuti".

La situazione si è aggravata dopo l’omicidio Capovani?

"Assolutamente, gli umori sono nettamente peggiorati. L’uccisione di Barbara Capovani è stato uno choc e anche uno spartiacque: dopo quel momento abbiamo capito che le minacce che ascoltavamo tutti i giorni potevano tramutarsi in azione. Con conseguenze terrificanti". La società tutta si è mossa compatta dopo quell’avvenimento.

"Sì, ma servirebbe da parte dei cittadini una maggiore presa di coscienza. Noi facciamo il possibile per aiutare tutti e, sia per etica che per lavoro, non ci rifiutiamo di prestare soccorso a nessuno. Questo non può significare che siamo la valvola di sfogo della rabbia e l’aggressività delle persone. Anche perché, se posso aggiungere...".

Prego.

"Instillare paura negli operatori sanitari è un grande disservizio alla comunità intera. L’eccesso di paura significa magari non poter dare il 100% nel supporto ai nostri pazienti. Difendersi e curare non vanno bene insieme".