Pisa 31 maggio 2024 – "Le università sono autonome e devono fare scelte etiche". Con queste parole Giuseppe Di Vetta, ricercatore alla Scuola Superiore Sant’Anna, tira le fila della tavola rotonda tenutasi martedì al Palazzo della Sapienza sul tema ‘Guerra e responsabilità della ricerca’. L’incontro, organizzato dal Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace, ha visto protagonisti ricercatori e professori universitari che si sono confrontati sui problemi legati alle politiche di ricerca e agli accordi di collaborazione scientifica.
Un tema caldo.
"Naturalmente l’attuale contesto internazionale pone il problema del ‘dual use’, ossia la possibilità di usare determinate tecnologie sia per scopi civili che militari. Si tratta di una questione problematica, perché molte tecnologie di ultima generazione che nascono per rispondere ad esigenze ‘civili’ e apportare benefici alla comunità possono essere convertite ad uso bellico. Per questo, oggi più che in passato, le università e le comunità di ricerca si trovano di fronte al tema della responsabilità della ricerca".
Esiste una responsabilità della ricerca?
"Certamente. La ricerca è responsabile per le sue implicazioni, anche negative, di fronte alla società, agli ecosistemi e alle generazioni future. Si tratta di un principio consolidato: la libertà della ricerca non è assoluta e deve essere bilanciata con altri interessi".
Chi compie questi bilanciamenti? E con quali strumenti?
"E’ stato proprio questo uno degli aspetti centrali della nostra riflessione: come le università e gli enti della ricerca possano esercitare la propria autonomia e bilanciare la libertà della ricerca con i rischi ad essa associati. Ma questi rischi devono essere prima individuati e selezionati, e si tratta di una valutazione che non può essere svolta esclusivamente dai singoli ricercatori e ricercatrici. Servono strumenti e procedure che li orientino in questa attività di valutazione".
Cosa possono fare allora le università?
"Le università hanno un’autonomia etica che è necessario mettere in pratica. Possono e devono, dunque, adottare strumenti per valutare i rischi dei risultati di ricerca e una loro eventuale applicazione per scopi che contrastino con la tutela dei diritti umani, dell’ambiente e delle condizioni di vita sul pianeta. La conclusione alla quale siamo giunti è che è arrivato il momento per le università di adottare strumenti e procedure per rendere effettivo il principio della responsabilità della ricerca".
In che modo?
"Per esempio, avviando percorsi di revisione dei relativi Codici etici, adottando policy per valutare le soglie di rischio associate alle attività di ricerca e, qualora sia necessario, impedire ricerche rispetto alle quali il rischio di applicazioni non conformi e illegali sia intollerabile in base alle sensibilità etiche delle singole comunità.
Quindi, quale potrebbe essere la ricetta?
"Servono investimenti culturali su questo tema, ma anche economici, perché le università si dotino delle competenze necessarie per affrontare le questioni etiche poste dalla ricerca contemporanea".
Stefania Tavella