MARIO ALBERTO FERRARI
Cronaca

Ha un tumore aggressivo: "Nel pubblico non c’è posto. Colletta per cure private"

Dopo le denunce sulle attese per la radioterapia, la storia di Stefania Pettini "Avrei dovuto aspettare 40 giorni, ma nel frattempo sarei potuta morire" .

Dopo le denunce sulle attese per la radioterapia, la storia di Stefania Pettini "Avrei dovuto aspettare 40 giorni, ma nel frattempo sarei potuta morire" .

Dopo le denunce sulle attese per la radioterapia, la storia di Stefania Pettini "Avrei dovuto aspettare 40 giorni, ma nel frattempo sarei potuta morire" .

di Mario Ferrari

"Io, malata di tumore e senza lavoro, a causa dei tempi di attesa sono stata costretta a chiedere soldi per accedere a terapie salvavita private". Si potrebbe sintetizzare così la vicenda di Stefania Pettini, 60enne pisana, che da mesi vive da un lato con la paura di un tumore che potrebbe ucciderla e dall’altro con la rabbia per la difficoltà di accesso alle cure. La verità è che la sintesi non basta a esprimere le difficoltà che la donna sta vivendo quotidianamente, da quando la notte del 28 settembre, per un forte dolore addominale, si è recata in pronto soccorso a Cisanello per quella che credeva essere una colica renale.

La realtà è stata ben più dura del previsto e la diagnosi spietata: una forma molto aggressiva di tumore al polmone. Assistita costantemente dal Tribunale del Malato di Pisa, dopo alcune visite con oncologi e altri specialisti, la donna è finita sotto i ferri il 20 dicembre, quando è stata operata con successo nel nosocomio cittadino.

L’appuntamento successivo per controllare la condizione del cancro è stato fissato il 28 marzo. Quel giorno, seduta sulla sedia dell’oncologo, è arrivata una seconda diagnosi, a suo modo ancor più spietata della prima: il tumore ha coinvolto l’esofago e sviluppato metastasi che sono arrivate fino al cervelletto.

L’unico modo per salvarle la vita è la radioterapia del Santa Chiara, che però ha posto 40 giorni dopo, troppo tardi per lei che ha già i primi disturbi alla vista, segno dell’avanzamento della malattia. "Se in poco più di tre mesi sono passata dall’operazione alle metastasi - racconta con fermezza Stefania Pettini a La Nazione -, nei 40 giorni d’attesa per la radioterapia sarei potuta passare dalle metastasi alla morte. A quel punto ho capito che dovevo rivolgermi alla sanità privata: io però sono senza un lavoro e non avevo i soldi richiesti per le terapie. Ho dovuto chiedere prestiti ad amici e parenti e sono riuscita a racimolare quella somma - circa 4mila euro - necessaria per iniziare le sedute a San Rossore, che sono cominciate ieri mattina".

La 60enne poi si lascia andare all’emozione: "Io non voglio morire, ho una figlia e due nipoti e mi metto le mani nei capelli a sapere in che situazione stanno crescendo. Mi sono anche rivolta nuovamente al Tribunale del Malato, che mi ha garantito sempre ascolto e sostegno, perché non è ammissibile che nel reparto di radioterapia della sanità pubblica ci siano certe attese quando è in gioco la vita delle persone". "Continuano a investire nella costruzione di nuovi edifici e spazi ma se manca il personale e i macchinari per offrire i servizi ai cittadini non si va da nessuna parte. Questa - l’amara conclusione di Pettini - sarebbe la nostra sanità d’eccellenza?".