I 75 anni di monsignor Benotto: "Sarà il Santo Padre a dirmi quando andrò in pensione"

Il traguardo dell’arcivescovo nel 17esimo anniversario dell’episcopato: "Mensa dei poveri la prossima settimana firmerò la compravendita di terreni e immobili a San Giusto".

I 75 anni di monsignor Benotto: "Sarà il Santo Padre a dirmi quando andrò in pensione"

Il traguardo dell’arcivescovo nel 17esimo anniversario dell’episcopato: "Mensa dei poveri la prossima settimana firmerò la compravendita di terreni e immobili a San Giusto".

di Gabriele Masiero

Settantacinque anni compiuti ieri. Per l’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto, nel diciassettesimo anno di episcopato, è arrivata l’età della pensione. "Ma - dice in un colloquio con La Nazione - sarà il Papa a dirmi quando andrò in pensione, ora comincia l’iter per la nomina del nuovo arcivescovo e nessuno, a parte il Santo Padre, può sapere quanto durerà". In questi mesi però si aprirà l’anno giubilare. "Il percorso è già tutto impostato. Ho già fatto gli incontri con i vicariati per l’organizzazione del giubileo, chiunque prenderà il mio posto troverà dunque tutto già pronto, ma non finisce certo oggi (ieri, ndr) il mio servizio nella chiesa pisana, anzi tra pochi giorni firmerò un atto fondamentale".

Quale?

"La prossima settimana firmerò la compravendita dei terreni e degli immobili a San Giusto dove nascerà la mensa dei poveri di Pisa. Era uno dei miei principali obiettivi da vescovo e sono riuscito a centrarlo. Poi la realizzazione probabilmente sarà portata a termine da altri, ma anche i progetti sono già tutti fatti. La mensa nascerà in un’area, oggi di proprietà dei Cappuccini e che passerà alla diocesi, inserita in un contesto urbano che non creerà disagi ai residenti, anzi darà finalmente risposte ai tanti bisogni presenti in città sia tra gli italiani che tra gli stranieri".

Se guarda ai 17 anni trascorsi che sensazioni prova?

"Sono stato nominato il 2 febbraio 1998 e sono entrato in diocesi il 6 aprile dello stesso anno. E’ stato un periodo di grandi trasformazioni, soprattutto sociali. Gli ultimi anni, prima con la pandemia poi con i conflitti internazionali, hanno segnato in profondità e in peggio la nostra società".

Perché?

"Perché abbiamo smesso di lavorare sull’incontro e l’accoglienza e ha prevalso l’egoismo e la diffidenza. Abbiamo smesso di ascoltare i bisogni e abbiamo avuto paura delle difficoltà. E i contraccolpi peggiori li abbiamo avuti nelle relazioni, Si propongono soluzioni tecniche, ma non relazionali. E così i problemi non si risolvono. La diffidenza e la predominanza di una logica conflittuale dominano anche la politica e questo non aiuta. Bisogna essere stupidi per non vederlo".

Da vescovo ha dovuto affrontare anche le grandi problematiche legate al patrimonio ecclesiastico, con conseguenti gravi difficoltà economiche.

"Però siamo riusciti a portare a termine i grandi recuperi di San Paolo a Ripa d’Arno, oppure i lavori sul tetto della chiesa di Santa Marta, così come il restauro della chiesa del Carmine o gli interventi già iniziati in San Martino e tanti altri interventi come l’emporio della solidarietà al Cep, presto la mensa dei poveri di San Giusto. Restano, purtroppo, fuori e ancora irrisolti i nodi di San Francesco e della chiesa dei Cavalieri, ma entrambe non sono di proprietà diocesana". Una volta in pensione che cosa farà?

"Non ci ho ancora pensato e credo sia presto per farlo. Di sicuro aiuterò qualche sacerdote che avrà bisogno".