MARIO FERRARI
Cronaca

I giovani e le “fake news“: "Uno su tre non le distingue"

Il report ’Disinformazione a scuola’ su un campione di studenti delle superiori. Il politologo Bressanelli: "Fenomeno difficilmente regolabile, mancano le norme".

I giovani e le “fake news“: "Uno su tre non le distingue"

Edoardo Bressanelli, politologo della Sant’Anna, esperto. di fake news

Pisa, 21 novembre 2024 – Un giovane italiano su tre non è in grado di comprendere correttamente se un’informazione online è affidabile oppure si tratta di una fake news, credendo spesso a ’teorie del complotto’ contro la scienza. Emerge dal report “Disinformazione a scuola“, che ha analizzato, su un campione di oltre 2.200 studenti di 18 scuole superiori d’Italia, la capacità dei ragazzi di distinguere le notizie false sui social.

Un risultato preoccupante che però non ha stupito troppo il professor Edoardo Bressanelli, politologo della Sant’Anna che si è occupato di fake news e disinformazione a livello europeo e che ha ribadito come purtroppo "la disinformazione è un problema fondamentale per le sfere mediatiche in cui siamo immersi tutti noi. Uno dei veicoli principali sono proprio i social media e non c’è categoria più immersa in quel mondo dei giovanissimi, che sono appunto le vittime principali. Il problema – continua – è che il mondo dei social è anarchico e purtroppo le fake news sono molto diffuse. Si può spiegare ai giovani a fare attenzione alle fonti e dotarli di buoni consigli utili, ma per limitare il fenomeno serve un coinvolgimento di tutta la società civile".

Professore, la politica come si è mossa per contrastare la disinformazione?

"I legislatori dell’Ue hanno cercato di porre argini cercando di diminuire l’anarchia dei social media che, a differenza dei media tradizionali, non hanno regole, deontologia o par condicio. Nello specifico la Commissione Europea ha incalzato i social, chiedendo di sviluppare un codice di autocondotta alle piattaforme stesse dotandosi di una serie di analisti che possano segnalare esempi di disinformazione, bot automatici e rimuovere o marcare le falsità".

Un tentativo di regolamentare un campo del tutto anarchico. Può bastare?

"Non penso. Il fenomeno non è facilmente regolabile dall’alto per mancanza di un quadro normativo. La politica può dare imput ma senza una società civile che la segua si può fare ben poco. Serve una maggiore attenzione e autocoscienza da chi frequenta i social: persone che controllino le fake news e le segnalino alle piattaforme. Come anche investire sulla formazione e istruzione".

Una specie di ‘educazione informatica’?

"Esattamente. Il mondo social è sterminato e si può fare molto tramite l’educazione: presa di coscienza, comprensione dei rischi, ma anche dialogo con insegnanti, ricercatori, società civile e fact-checkers per capire come comportarsi. Scuola e università hanno un’importanza fondamentale in quest’ottica e la Commissione Europea lo sa, per questo sprona con investimenti e bandi dedicati. Purtroppo dobbiamo capire però che il fenomeno può essere migliorato grazie ai regolamenti, non risolto".