di Antonia Casini
Il giorno prima e quello dopo. "No, purtroppo non ebbi l’opportunità di avvisare la dottoressa che era venuto un uomo in reparto a cercarla". L’operatrice socio-sanitaria dell’Spdc, Larissa, si rammarica. Ma quell’episodio, preso singolarmente e senza lo sviluppo dei fatti, in quel momento non sembrava così rilevante. Ha assunto importanza dopo. Dopo il massacro e dopo che i colleghi hanno ricollegato. Messo insieme indizi, particolari, ricordi. E’ il 20 aprile - si ricostruisce in aula durante il processo per l’omicidio della dottoressa Barbara Capovani - e qualcuno suona il campanello del reparto che la professionista dirige. "Erano le 17 circa – rammenta l’oss, ho risposto al videocitofono, un impianto non di ultima generazione che mostra immagini in bianco e nero. L’uomo chiese della dottoressa Capovani. ‘Non c’è’, dissi io. ’Ha appuntamento?’. ’No, affermò, ma quando ho bisogno e sto male mi presento e mi riceve’. Io gli domandai con insistenza il cognome, ’così vado a vedere se c’è e può riceverla’. L’infermiere però mi suggerì di chiudere. Non feci in tempo a girarmi verso il videocitofono che era già andato via". Il volto? "Non lo conoscevo. Ma ho notato dei particolari del viso. Era giovane, aveva gli occhi come a mandorla. Parlava bene italiano e aveva un cappello con la visiera. Abbassava continuamente la testa". La testimone, che raccontò dell’episodio dopo il delitto ai colleghi, ha fatto il riconoscimento fotografico. "Una foto è molto somigliante". La donna prosegue nella descrizione davanti alla Corte d’assise (presidente Zucconi). "La carnagione era olivastra. Non aveva la barba". "Aveva i baffi?", come si nota in alcune foto sui social, dell’imputato che abita a Torre del Lago, domanda la difesa (avvocati Gabriele Parrini e Alessia Ratti). "Mi sembra di no".
Ma questa non è stata la sola testimonianza sul 20 aprile. Un’altra operatrice delle pulizie, stavolta all’Orto botanico, Chiara Albanese, adiacente al Santa Chiara, spiega che si trovava nella struttura universitaria pisana alle 20. Quando si presentò un uomo. "Voleva visitare l’orto. Gli dissi che non poteva perché stava chiudendo. Era vestito di nero, aveva i capelli neri corti, era alto 1.70 metri e aveva uno zaino nero. Lo riferii in portineria". Il giorno dopo la psichiatra fu uccisa. "Vidi poi le foto dell’imputato sui giornali e in tv e lo riconobbi come colui che avevo incontrato all’orto. Lo raccontai alla mia responsabile". La donna fu convocata dalla polizia. Una presenza - forse un sopralluogo prima di agire? - che rafforzerebbe per l’accusa l’ipotesi della premeditazione.