di Guglielmo Vezzosi
PISA
"Buonasera, chiedo scusa, non vorrei disturbare...". E già in queste parole – con le quali iniziava ogni telefonata alla nostra redazione, con un garbo ormai raro di questi tempi –, traspariva lo stile del personaggio. Stiamo parlando di Umberto Moschini: con la sua scomparsa, avvenuta ieri all’età di 89 anni – le ultime settimane trascorse dentro e fuori dagli ospedali per un progressivo peggioramento delle condizioni di salute – la città perde uno dei più appassionati protagonisti e cultori della pisanità. Se per motivi di lavoro Moschini è stato spesso lontano da Pisa – dal 1962 fino alla pensione nel ’93 ha ricoperto il ruolo di ispettore strutturato dell’allora Democrazia Cristiana, incarico che lo ha portato in giro per tutta Italia – ha sempre mantenuto nel cuore un posto speciale per la "sua" città. Alla quale ha dedicato sforzi ed energie su molteplici fronti. E’ lungo e prestigioso l’elenco delle attività che hanno conosciuto una sua partecipazione attiva: dal Gioco del Ponte (è stato luogotenente generale per sei anni dal 1986 ed era ancora attivissimo presidente dell’Associazione Amici del Gioco) alla Filarmonica Pisana, dalla Compagnia Balestrieri (della quale è stato fondatore e primo presidente) all’Associazione Cuochi pisani all’Accademia della cucina, solo per citarne alcune.
Ma su tutte il Gioco del Ponte ha catalizzato da sempre la sua passione e il suo interesse. Moschini è stato infatti uno dei padri e promotori della rinascita della manifestazione: "Era ancora il 1970 e nell’assemblea dell’associazione degli Amici del Gioco "Ferruccio Giovannini mi fece eleggere presidente. Far ripartire il Gioco era l’obiettivo", raccontava lui stesso in una lunga intervista al nostro giornale, raccolta nella sua abitazione, le pareti tappezzate di attestati e foto (tra le tante quelle insieme ad Aldo Moro, a papa Giovanni Paolo II o a Umberto di Savoia, l’ultimo re d’Italia).
Il sogno del Gioco si realizzerà una decina di anni dopo: "Le cose si misero in movimento in modo serio nel 1980; nell’81 ci fu la sfilata sui lungarni e la mostra a palazzo Lanfranchi e nel 1982, finalmente, la battaglia al carrello". Il momento più bello – ricordava – fu quando, "terminato lo scontro, alla sera, nessuno voleva andarsene. A un certo momento ci ritrovammo vicini, io, l’assessore Lorenzo Bani e Paolo Donati e ci abbracciammo commossi senza dire una parola. Un silenzio fin troppo eloquente". Il Gioco, passione, storia e identità, manifestazione da sostenere "senza personalismi, così come va amata la nostra Pisa, al di sopra di ogni altra cosa". Concetti che tornavano spesso, nei suoi interventi sotto forma di calorosi appelli alle istituzioni, ad esempio in occasione del "dì di Sant’Antonio Abate", il 17 gennaio, quando si rievocava la Battagliaccia o ancora il 25 marzo per il "Capodanno Pisano". E anche in questo caso Umberto Moschini ebbe un ruolo non secondario, recuperando il "Capodanno" dagli archivi fin dal 1986 quando era luogotenente di Mezzogiorno: "Quell’anno – raccontava sempre sulle nostre colonne – un pisano verace come Francesco Capecchi suggerì di fare qualcosa per ricordare il Capodanno pisano. Con l’aiuto dei collaboratori del Comando di Mezzogiorno, tra i quali Piero Matteoni, Sergio Simi, Lero Dolfi e Angela Frattini furono fatte delle ricerche. Determinante fu la collaborazione di Giampiero Lucchesi dipendente dell’Opera della Primaziale. Fu quindi organizzato l’appuntamento che tutt’oggi si celebra e che consiste nell’avvolgere alle 12 il pilastro che sostiene la “mensola marmorea” che viene illuminata dal raggio di sole, con una serto di alloro scandendo la rituale formula: ‘A maggior gloria di Dio e invocando l’intercessione della Beata Vergine Maria e di San Ranieri, nostro patrono, salutiamo il nuovo anno’".
Ma sulla paternità della riedizione del Capodanno non mancò una simpatica disputa con un altro pisano doc, Paolo Gianfaldoni, studioso e conoscitore delle nostre tradizioni, tanto che lo stesso Moschini ammise che "in verità già nel 1982, su Vita Nova, il settimanale cattolico della Diocesi, Paolo Gianfaldoni, in un articolo ricordava questo evento". La cerimonia verrà poi istituzionalizzata nel 1998, sindaco Paolo Fontanelli, col passaggio al Comune di tutta l’organizzazione, fino a quel momento gestita dalla parte di Mezzogiorno.
Se sollecitato dagli amici, Umberto ricordava anche gli anni del suo lavoro nella Dc e alcuni esponenti pisani che aveva frequentato da vicino come gli "onorevoli Enzo Meucci e Giulio Battistini, due grandissime figure. E poi il sindaco Umberto Viale, che era una persona con una visione profonda dei problemi e soprattutto con una spiccata capacità di sintesi e un intuito formidabile su come trovare le soluzioni. Sapeva guardare in prospettiva e anticipare i tempi. Se
non fosse scomparso prematuramente sarebbe diventato come minimo ministro". Oppure rievocava un aneddoto che lo legava a Oscar Luigi Scalfaro, poi presidente della Repubblica: "Erano i primi anni Settanta. Allora Scalfaro era dirigente organizzativo nazionale della Dc e come riconoscimento per aver ben lavorato in una campagna elettorale volle offrirmi, da parte del partito, una macchina cilindrata 1.300. Provai a far presente timidamente che non avevo la patente, ma da Pisa mi dissero subito di accettare perché il partito aveva un disperato bisogno di una vettura. L’auto dunque arrivò, restò a disposizione del partito e venne ribattezzata ‘La Scalfarotta’".
La camera ardente è allestita alla Pubblica Assistenza in via Bargagna. Le esequie di Umberto Moschini saranno celebrate domani, venerdì, alle ore 16, nella chiesa di Santa Cristina, in forma strettamente privata anche per il rispetto delle norme anti-Covid.