RENZO CASTELLI
Cronaca

La villa fantasma di San Rossore

L’avveniristico progetto del presidente Gronchi mai realizzato sulla via del Gombo: storia di un’incompiuta

Sulla via del Gombo negli anni 50 si pensò di realizzare una mega costruzione destinata a diventare sede di rappresentanza della Presidenza della Repubblica.

Sulla via del Gombo negli anni 50 si pensò di realizzare una mega costruzione destinata a diventare sede di rappresentanza della Presidenza della Repubblica.

Parafrasando “L’isola che non c’è” di Peter Pan potremmo dice “L’edificio che non c’è”. Dove? A San Rossore. E’ poco nota la vicenda di un avveniristico progetto che risale alla fine degli anni Cinquanta quando si pensò di costruire sulla via del Gombo, a un chilometro dalla villa presidenziale, una mega costruzione destinata a diventare sede di rappresentanza della Presidenza della Repubblica. L’opera era stata commissionata dal presidente Giovanni Gronchi ai due architetti Amedeo Luccichenti e Vincenzo Monaco che avevano già progettato la villa del Gombo. Il Ministero dei Lavori Pubblici avrebbe dovuto sostenere i costi per la realizzazione del nuovo edificio. I due si misero all’opera presentando un dettagliatissimo progetto al Ministero. Costo previsto: 250 milioni di lire che nel ‘58 erano una bella cifra. La costruzione dell’edifico incontrò tuttavia delle difficoltà politiche anche in rapporto al contesto naturale nel quale sarebbe stato edificato: approvato dal ministro Togni, il progetto fu bloccato dal suo successore Zaccagnini, Intanto Gronchi non era stato rieletto e il lavoro dei due architetti, già redatto in ogni più piccolo particolare, restò nel cassetto.

Alla fine il Ministero liquidò soltanto la stesura degli elaborati grafici. Ne seguì una causa che però andò tanto per le lunghe che si estinse con la morte di Luccichenti (1963) e del collega Monaco (1969). E’ però interessante riscoprire, tanti anni dopo, che mostro si fosse pensato, con trumpiana visione, di costruire nel cuore della tenuta (all’epoca, peraltro, non malandata come oggi). Il progetto, corredato di grafici e di tutti i particolari tecnici per la sua esecuzione, è stato portato alla luce dalla storica dell’architettura Rita Panattoni. Posto su due piani in un corpo rettangolare, l’edificio era previsto in cemento armato e ferro ma con grande sfarzo di marmi di varie tipologie al suo interno. Hall, saloni di rappresentanza, sale da pranzo e budoir, camere da letto, servizi igienici; tutto era stato indicato con professionale precisione. Lo studio dei due architetti aveva indicato non soltanto le diverse tipologie dei materiali (marmi, legni, ottoni, vetri) ma anche i loro costi dettagliati: per i vari tipi di marmi, per gli infissi di grande qualità, per le maniglie, per i corrimano, per la rubinetteria, eccetera, eccetera. Citiamo, ad esempio dell’analisi capillare del progetto, questo passaggio: “Gli ascensori, di buona marca, dovranno avere la velocità di salita di 70 centimetri al secondo”. Il progetto aveva tenuto come opera di riferimento un altro edificio realizzato negli anni Trenta dallo Studio Luccichenti-Monaco: quello della Villa Petacci, archiatra pontificio e padre della più famosa Claretta, situata sulla via della Camilluccia a Monte Mario.

Renzo Castelli