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L’alcol, dalla morte alla rinascita: "Bevevo aceto e disinfettante. Qui dentro accadono miracoli"

Nella sede pisana degli Alcolisti anonimi in via Bianchi: "Dopo la pandemia i partecipanti sono raddoppiati e l’età è molto scesa. La dipendenza ti fa perdere tutto, anche te stesso".

L’alcol, dalla morte alla rinascita: "Bevevo aceto e disinfettante. Qui dentro accadono miracoli"

di Antonia Casini

Francesca, Mario e Ranieri ci aprono le porte del luogo dove si riuniscono e si rigenerano e delle loro storie di morte e di nuova vita. Sono loro, ma diversi. Rinati, dopo anni di confronto, sfogo, auto terapia. Ognuno ha poi una sua strada, ma, due volte a settimana, queste strade diverse confluiscono. Hanno un aspetto in comune: sono ex alcolisti. Ex perché evitano ogni giorno "il primo bicchiere". Fanno parte degli Alcolisti anonimi di Pisa. L’associazione, a livello mondiale, nacque nel 1935. In Italia nei primi anni ’70. Ora sono 23 i gruppi in Toscana. Quello pisano si è formato circa 39 anni fa. "Una società di auto-aiuto. Ci si incontra tra alcolisti che vogliono recuperarsi. L’unico requisito è quello di desiderare di smettete bere". I locali sono quelli della parrocchia di Santo Stefano. "Ci sono stati concessi da don Carlo, ma paghiamo perché uno dei punti fermi è che non ci facciamo sovvenzionare". Una volta di sera e una di pomeriggio si ritrovano in via Bianchi. "Ogni due mesi organizziamo una riunione aperta, chiunque può partecipare". Anche perché - lo ripetono - la dipendenza da alcol è "una malattia della famiglia". E, proprio per questo, i parenti hanno formato un’associazione Al Anon a parte. Il primo passo - la riabilitazione consiste in 12 passi (solo nel primo viene nominato l’alcol) - è accettare che l’alcol ha vinto e che la dipendenza non si può risolvere da soli, bisogna chiedere aiuto. Un cammino interiore di auto conoscenza". "Alcuni, poi, seguono un percorso con lo psicologo, altri prendono le medicine ma non siamo noi a suggerirlo. Noi non diamo consigli ma le nostre testimonianze. Non ti giudico, ma sono qui con te. All’inizio si ha un’idea vaga di noi stessi. Dietro ci sono vari problemi e questo itinerario aiuta a cambiare".

Non si guarisce mai. Un’altra verità. "Non c’è mai fine. Ci sono alcuni che hanno 38 anni di sobrietà e continuano a venire. Perché si pensa che si possa imparare a bere meno, recuperare alcuni casini fatti, ma non è così per un alcolista".

Chi sono?

"L’età media si è abbassata molto dopo il Covid. Qualche anno fa era avanzata. E la frequenza con la pandemia è raddoppiata (15 le persone)".

Mario, qual è il suo passato?

"Ero dirigente d’azienda in carriera, ho sofferto di depressione, ne uscito farmacologicamente, ma poi ho cominciato a bere, prima in modo sociale, dopo di nascosto. Mia moglie se ne era accorta, ma io rispondevo, ’posso smettere quando voglio’. Non è vero. Non mi ero mai ubriacato prima dei 49 anni: bevevo aperitivi e superalcolici. Ho cominciato a frequentare gli alcolisti anonimi senza smettere. Mi hanno ritirato la patente. Ho smesso 5 anni fa, la parte più difficile è cambiare. Una piccola soddisfazione è che mia moglie mi dice che adesso sono migliore di quando mi ha conosciuto nonostante quello che le ho fatto passare".

E lei, Francesca?

"Ho cominciato a bere presto in modo selvaggio, a 20 anni, e sono andata avanti a lungo passando dai vini bianchi e secchi a quelli scadenti. Ho sempre vissuto da sola e senza controllo. Solo verso i 40-50 mi sono accorta che era un problema grosso. Ho provato tutte le vie, sono stata ricoverata. Non ero più io che sceglievo ma l’alcol. Quello che mi ha convinta è l’idea del cambiamento".

Come ha ricominciato a vivere Ranieri?

"Sono approdato qui 20 anni fa restando affascinato da queste persone. Ero devastato. Avevo provato di tutto (dall’aceto al disinfettante). Avevo toccato il fondo dal punto di vista lavorativo e sociale, ero dipendente anche dal gioco. La mia arroganza era accentuata dall’alcol, venivo scansato da tutti. E mi era sfuggita di mano la mia vita, avevo perso tutto, in particolare me stesso. Vedevo gli altri sereni. Sedermi su questa sedia ha voluto dire salvarmi la vita. Sono riuscito ad accettarmi. Qui dentro succedono miracoli perché questa è una malattia lenta e mortale. Io ho visto la morte più volte. Ora sono un’altra persona".