L’uva dei vignaioli, gli strumenti dei muratori, le cassette del pesce, il pane dei panai, la frutta e verdura dei fruttivendoli e così via. Ce lo ha raccontato ieri Roberto Fusi, 78 anni, storico collaudatore dell’Ape Piaggio, cos’era – anzi cos’è ancora per chi ne ha uno e lo usa – , il motocarro a tre ruote di cui cessa la produzione nella fabbrica di Pontedera. Non serviva per andare ‘in giro con le ali sotto i piedi’, per macinare grandi distanze a grandi velocità. Lo abbiamo visto durante il Covid, quando - con l’allentarsi delle restruzioni – arrivò il via libera a coltivare gli orti. E sciami di Apini improvvisamente si riversarono dai centri abitati alle campagne, padroni sulle strade libere dal traffico frenetico e quotidiano di bus, scooter, auto dei pendolari. L’Ape, (Apino per gli amici) è stato un mezzo pratico e umile, il preferito dai contadini, dai piccoli artigiani, dai titolari delle botteghe che hanno contraddistinto la storia di quartieri, piazze e vie delle nostre città. Gli stessi mestieri che stanno via via scomparendo, "vittime" delle mode, dell’innovazione, della grande distribuzione, dell’e-commerce, di una progressiva svalutazione del lavoro manuale. Del resto, (fonte Ufficio studi della CGIA) in Italia abbiamo più avvocati che idraulici: 237mila sono i primi, fermi ‘solo’ a quota 180mila i secondi.
CronacaL’Ape simbolo del mondo che cambia