
Sessanta anni. Tanti sono passati dall’inaugurazione della CEP - Calcolatrice Elettronica Pisana. Insieme all’Olivetti Elea 9003, i primi calcolatori elettronici (computer, si direbbe adesso) interamente progettati e realizzati in Italia. Al di là dei pur meritevoli primati tecnologici e scientifici, quale eredità ci ha lasciato quel progetto? E perché, a distanza di tanti anni, vale la pena ancora parlarne? Il periodo storico che stiamo vivendo, tra pandemia, crisi economica e allarme climatico, sta cambiando il mondo e il modo in cui ognuno di noi lavora, studia, vive. Quando l’Università di Pisa iniziò a pensare al progetto CEP le macerie e le ferite della II guerra mondiale erano ancora visibili e dolorose. All’ora come oggi, quella che Adriano Olivetti definiva “ansia di progresso” spinge l’umanità verso nuove scoperte e nuovi obiettivi. Adesso i vaccini, all’epoca l’elettronica e i computer.
La prima lezione che ereditiamo dal progetto CEP riguarda la coesione e l’unità di intenti. Se all’epoca i Comuni e le Province di Pisa, Livorno e Lucca non avessero messo a disposizione 150 milioni di lire (quasi 3 milioni di euro di oggi), nessun progetto innovativo sarebbe partito. Superando campanilismi e divisioni politiche, finanziarono assieme l’Università di Pisa. E quest’ultima affidò alle menti più aperte l’intero progetto, contrastando spinte conservatrici che pure ci furono. Non solo, per realizzare il progetto fu avviata una preziosa collaborazione con la Olivetti, che contribuì con finanziamenti, personale specializzato e componentistica. L’Ateneo aggiunse fondi propri e arrivarono anche quelli concessi dal CNR. Insomma, una collaborazione ampia, che si rivelò indispensabile.
Il secondo insegnamento riguarda il ruolo dei giovani. Nell’Università, così come nella Olivetti, che aprì a Barbaricina un proprio Laboratorio, i protagonisti furono i giovani, ai quali furono date responsabilità, risorse e fiducia. E questi ripagarono con dedizione, studio e risultati. In un esercizio eccezionale di intelligenza collettiva. Nessuno, da solo, avrebbe mai potuto conseguire i risultati che furono raggiunti.
La terza lezione è che l’innovazione paga. Se a Pisa è nato il primo corso italiano di Laurea in Informatica (nel 1969), è stato attivato il primo nodo Internet del nostro Paese (nel 1986), ed è sede del Registro.it e di tantissime aziende tecnologiche, è frutto di quel progetto degli anni ‘50 del secolo scorso.
L’informatica italiana, quindi, è sostanzialmente nata a Pisa e questo patrimonio di storia e innovazione può indicare la direzione anche per il futuro della nostra città. Si parla molto di “ripresa e resilienza”, impossibili senza una visione strategica e la necessaria coesione.Cito solo un esempio. Da anni si sta parlando della Cittadella Galileiana presso i Vecchi Macelli e le ex Stallette. Un’area quasi completamente riqualificata con i fondi PIUSS e adesso solo parzialmente utilizzata come sedi di startup innovative, produzioni cinematografiche, ludoteca scientifica. Lì ha sede anche il Museo degli strumenti per il calcolo che ospita la Calcolatrice Elettronica Pisana. Ma un progetto complessivo che possa rendere quell’area una vera e propria città della scienza, ancora non c’è. C’è uno studio di fattibilità, ma è stato lasciato invecchiare. Ci sono fondi della Regione, non sufficienti per l’intero progetto, ma che sono certo che – a fronte di un’idea che non sia la creazione di un contenitore polveroso – saranno messi a disposizione. Va immaginato un percorso museale immersivo, interattivo, innovativo, proiettato al futuro. Guardando a eccellenze di alto livello, come La Cité des sciences et de l’industrie di Parigi o la Città della Scienza di Napoli. Pisa ha tutte le carte in regola per guardare a modelli di questo tipo, intercettare finanziamenti, produrre progetti innovativi. E allo stesso tavolo, come nel 1954, è indispensabile che si seggano tutte le istituzioni locali e regionali, il Governo nazionale, le tre Università della nostra città, il mondo delle imprese e della cultura. Insomma, dal nostro passato possiamo imparare molto, ricominciando a guardare al futuro con apertura e fiducia.
Maurizio Gazzarri