REDAZIONE PISA

L’inferno della trincea tra il freddo e la paura

La guerra che logorava il corpo e l’anima, creando un grande senso di fratellanza e di solidarietà

La Grande Guerra, scoppiata nell’estate del 1914 e terminata nel novembre del 1918, fu un’esperienza terribile per chi la visse in prima persona; milioni di soldati furono costretti a vivere nelle famigerate trincee, sotto il sole cocente in estate oppure nel gelo invernale, sotto il fuoco delle mitragliatrici, le vere dispensatrici di morte insieme ai bombardamenti. Il loro obiettivo era quello di stordire e spaventare il nemico trincerato, così che non potesse reagire con determinazione all’imminente assalto. All’uso di tale artiglieria è correlata l’insorgenza dello shellshock, una malattia nata sui campi di battaglia e nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. I sintomi erano vari: palpitazioni, tremori o paralisi, incubi, insonnia. Alcuni sembravano perdere il senno per sempre, altri recuperavano dopo un lungo periodo di riposo. I soldati di trincea erano spesso contadini analfabeti, digiuni di Storia, ma molti erano anche borghesi di buona cultura: per loro lo shock era ancora più grande, non solo perché non erano abituati alla fatica fisica e ai sacrifici, ma anche perché sognavano una guerra eroica, ma si ritrovavano in un grande macello. La trincea rendeva tutti uguali: i soldati vedevano i compagni cadere a uno a uno e sapevano che a breve, al prossimo attacco, sarebbe potuto toccare a loro. Spesso dovevano correre all’attacco calpestando i corpi di chi era caduto prima. Queste tremende esperienze creavano un grande senso di fratellanza e di solidarietà tra i soldati semplici.