Pisa, 30 agosto 2017 - Morbillo, è allarme per i sanitari contagiati perché non vaccinati. Come successo nel reparto di Ginecologia nell’ospedale di Senigallia a un’ostetrica. Tanto che in molti, adesso, invocano l’obbligatorietà del vaccino per alcune professioni. Fra loro, anche Pier Luigi Lopalco, l’epidemiologo dell’ateneo pisano che con il suo gruppo di lavoro ha appena trattato sulla rivista «Eurosurveillance» il caso dell’ospedale della città della Torre pendente: «Intorno al policlinico di Cisanello si sono verificati 34 contagi in poco tempo fra operatori, loro familiari e pazienti».
Professore, il personale sanitario è diventato una categoria a rischio, e, a sua volta, canale di diffusione per gli altri.
«Purtroppo, la vaccinazione contro il morbillo e la rosolia di solito non è offerta attivamente a chi opera negli ospedali».
Chi sono i ‘nuovi’ ammalati?
«Chi ha 30-40-50 anni può essere arrivato a questa età senza aver preso il morbillo: il vaccino era già disponibile negli anni ’80, ma una copertura di un certo livello si è avuta solo da metà anni ’90».
Ma perché è colpito proprio l’operatore sanitario?
«E’ a continuo contatto con persone che possono contagiarlo».
Quanti sono, al momento e in totale, i casi in Italia?
«Circa 4.200, di cui 283 fra sanitari: tanti si sono verificati a Pisa intorno all’ospedale».
Come lo avete capito?
«Nel nostro studio abbiamo seguito e caratterizzato 34 contagi secondari, dimostrando che molti di questi sono partiti proprio da personale sanitario».
In quanto tempo?
«Abbiamo riscontrato 4-5 serie di contagi: fra l’una e l’altra passano circa 10 giorni, quindi parliamo di meno di due mesi. Una situazione rientrata grazie alla forte risposta dell’Azienda ospedaliera con vaccinazioni di massa».
E i bambini?
«Le prime vittime, in generale, sono proprio i piccoli al di sotto dell’anno, visto che il vaccino si fa a partire dai 13 mesi. Chi è colpito così da piccolo, a 7-8 anni o anche quando è adolescente, può sviluppare una panencefalite subacuta: è rara, ma è una forma mortale».
Come prevenirla?
«Proteggendo tutti quelli che stanno insieme a lui: genitori, educatori, cuginetti...».
Che cosa può fare un 30-40enne che non sa se è stato vaccinato? I libretti sanitari non sempre sono aggiornati.
«Se non c’è un ricordo preciso, la cosa più semplice è vaccinarsi. Se è stata fatta una sola dose un eventuale vaccino serve come richiamo. C’è un esame del sangue (che può segnare il medico di base) con il quale si cerca di capire se si sono sviluppati gli anticorpi».
Chi non deve vaccinarsi?
«Persone con immunodeficienza grave. Esistono, poi, controindicazioni temporanee per cui è necessario rimandare: un bambino che ha la febbre o prende farmaci che possono far diminuire la risposta immunitaria. L’unica soluzione per proteggere tutti è la vaccinazione di massa».
Per l’anti-meningococco C, a un certo punto dell’epidemia toscana, si è detto anche che forse era il caso di rivederlo perché non funzionava. Può essere?
«Non esiste un vaccino che dà la copertura del 100%. Inoltre qualcuno aveva perso l’immunità non avendo fatto richiami. Ma la malattia è stata meno aggressiva».
Perché sono nati così tanti movimenti contrari ai vaccini?
«Il fenomeno dell’opposizione si sta verificando anche in Francia. I genitori di oggi hanno perso la percezione della pericolosità di alcune malattie considerate banali, visto che girano molto meno rispetto al passato, proprio grazie ai vaccini. Tanto da organizzare morbillo-party».
Eppure ci sono anche medici contrari...
«L’esitazione vaccinale colpisce anche cardiologi, anestesisti, infermieri e ostetriche, appunto. Per fortuna, si tratta di una piccola parte e l’ordine dei medici sta iniziando a prendere provvedimenti. Occorre insistere di più, nel curriculum universitario, con lezioni specifiche».
Lei è tra i promotori della ‘Carta di Pisa’, di che cosa si tratta?
«E’ un documento sottoscritto da molte società scientifiche: l’obiettivo è arrivare a una forte raccomandazione, se non all’obbligo di vaccinazione per i sanitari».