Edith Piaf, una donna troppo piccola per una voce così grande. Questo dicevano di lei, e da questo aneddoto si sviluppa un racconto fatto di musica, amore, autodistruzione, disperazione e momenti di profonda felicità. Sabato alle 21 al Teatro Nuovo di Pisa andrà in scena ‘Edith Piaf’, un viaggio oltre che nella vita dell’indimenticata artista, anche nelle sue canzoni più celebri – La vie en rose, Je Ne Regrette Rien, Padam Padam, Hymne a l’Amour – portate sul palco dall’emozionante voce e interpretazione di Veronica Rivolta. Il percorso biografico della Piaf è una storia tormentata che inizia su un marciapiede di Parigi, davanti al numero 72 di Rue Belleville: meno di due chilometri dalla tomba del Père Lachaise dove adesso riposa in un trionfo di fiori. Questo però non vuole essere uno spettacolo autobiografico, piuttosto il tentativo di far continuare a vivere la grandezza di una donna e della sua voce, icona di Francia e del mondo intero: perché ancora oggi, in qualunque angolo del mondo, si può sentire gracchiare da un vecchio disco La Vie En Rose e con esso riappare la Parigi patinata con i suoi boulevard, i quartieri, le luci e i caffè. Lo racconta con entusiasmo colui che ha ideato e realizzato lo show, Federico Malvaldi, regista e drammaturgo pisano.
Come nasce l’idea di uno spettacolo su Edith Piaf?
"L’anno scorso ricorreva il 60 anniversario della morte della cantante, dovevo realizzare a Roma una rappresentazione su un personaggio celebre. Da qui il progetto, pensato insieme a Veronica, di unire il mio amore per Parigi al racconto di questa artista unica, dalla vita pazzesca".
Musica e vita sono strettamente collegate nel percorso della Piaf, come si fa a raccontare tutto questo in uno spettacolo?
"Abbiamo cercato di restituire l’intensità di una vita densa, attraverso frammenti che ne mettessero in evidenza il rapporto intimo con la voce: una voce grande, in una donna piccola. Il rapporto con la musicalità in lei non si è mai spento, la sua voce non l’ha abbandonata neanche quando il suo fragile corpo non le rispondeva più".
In scena quindi anche il tema del ruolo della donna, in un’epoca diversa dalla nostra.
"Sì, allora era forse ancora più complesso di quanto non lo sia oggi. Questo spettacolo vuole essere un inno alla fragilità: in Edith non c’è stata solo grandezza di artista, ma anche capacità di rompere il dolore, di spezzare il proprio essere per viverne la sofferenza".
E’ un ritorno a casa per lei, nella sua Pisa?
"Indubbiamente, dopo il mio debutto di anni fa e esperienze da drammaturgo, torno da regista, e ne sono felice".
Alessandra Alderigi