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Marco Paolini dottore honoris causa: "Io e la filosofia della ribellione"

L’attore-drammaturgo riceve oggi la laurea ad honorem: "Però ero bravo in storia. Speriamo non ci ripensino"

Marco Paolini dottore honoris causa: "Io e la filosofia della ribellione"

di Carlo Venturini

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"Il teatro è ribellione. Galileo è un ribelle. Pisa è ribelle coi moti del ‘68". Marco Paolini, attore drammaturgo, creatore di quel monologo teatrale monumentale "Il racconto del Vajont", riceve giovedì la laurea honoris causa in filosofia.

Ma lei era bravo in filosofia? "No. Per niente. Ho fatto lo scientifico. Ero bravo in storia. Spero però che dopo questa dichiarazione non mi tolgano la laurea; sono ancora in tempo per farlo".

La laurea la riceve a Pisa dove studiò ed insegnò Galilei, scienziato ma anche filosofo. In che rapporto è con Galilei.

"Non siamo parenti. Scienziato e filosofo sì ma a modo suo. Insegnò molto poco da quel che sappiamo Un tipo ribelle. Non gli andava mica giù di portar la toga come voleva l’università. Non gli andavano giù diverse cose. D’altra parte Pisa, coi suoi studenti universitari e con l’ambiente cittadino, fu fulcro del ’68. Non mi sembra che qui si pratichi molto l’omologazione". A proposito di ribellione, per lei il teatro è ribellione. Ma da chi? Da che cosa?

"In primis sono contro i ribellismi con tutti i cliché dell’essere ribelle. Il teatro è ribellione contro l’assuefazione al proprio destino, al chinar il capo a qualcosa di già scritto. Ribellione è la parola con cui concludo il Racconto del Vajont. Il teatro come ribellione non è uno slogan. E’ una funzione matematica fatta di pesi e contrappesi. Il pensiero unico o dominante è consolatorio. Ci si sta bene dentro. E’ comodo. Ma chiedete a Galilei se gli andasse bene. Si va avanti solo facendosi domande, andando oltre il confine del libro, andando oltre ciò che è il dogmatismo che però è sempre lì ad aspettarci, che incombe. Galilei col suo cannocchiale guardava dove gli altri non posavano lo sguardo. Ed è importante anche "come" lo scienziato guardasse visto che anche le ottiche di quell’epoca non ti davano la nitidezza di quelle successive. Oggi l’algoritmo ti fa trovare ciò che ti piace. Lo sa lui per te per quella parte di te, almeno. Non se ne esce. Ti trovano ciò che ti piace ma nessuna domanda".

Si sente minacciato da Chat Gpt?

"No. Non faccio uso di intelligenze artificiali. Ho giocato un po’ con Chat Gpt ma alla fine mi sembra banale se non noioso. C’è sempre comunque titubanza verso le novità tecnologiche. Ciò che trovo però sbagliato è l’essere costretti a fare uso di certe tecnologie. Ci sono sempre più giovani che decidono per un periodo della loro vita di staccarsi da smarthone e social. Secondo me, è una forma di ricerca, di ricerca di bios, ricerca di sé, di poesia. Quando ci si stacca dalla tecnologia per fare ricerca, fare dei passi indietro, applicare la ricerca alla propria vita mi sembra che sia un buon modo o un inizio per farsi domande. Ciò che trovo ingiusto è che la tecnologia venga imposta che io non possa scegliere sul se o come usarla".

Oggi quanti Vajont ci sono? Non solo catastrofi ambientali causate dall’uomo ma anche quelle sociali.

"Che dice, scusi? Di Vajont ce n’è uno solo. Vede… le tragedie interessano solo a chi le subisce. Delle tragedie altrui nessuno se ne cura, non se ne cura a meno che…, a meno che non ci sia di mezzo l’arte e dicendo così non voglio essere autoreferenziale ma ci vuole l’arte di mezzo altrimenti le tragedie toccano, interessano solo chi le subisce". Alla cerimonia saranno presenti il rettore Riccardo Zucchi, il prof. Pierluigi Barrotta, e la prof.ssa Alessandra Fussi.