
Marusco, l’Eroico Super collezionista in equilibrio sulla bici artista del ’surplace’
Nel ciclismo su pista c’è una tecnica insolita che consiste nello stare in equilibrio sulla bicicletta, senza incedere né retrocedere. In questa stasi, ognuno dei corridori cerca di imporre all’altro la propria abilità: questo è il “surplace”. A Mezzana di Pisa, fra i campi e le verdi colline del Monte Pisano, vive un’ambasciatore di quest’atipico estro atletico: Marusco Santochi. Classe del 1937, Santochi è un personaggio incredibile del ciclismo italiano; sempre presente ai più importanti eventi, nonché portabandiera e collezionista del mondo delle bici “eroiche”, quei velocipedi che hanno fatto la storia dello sport e della nazione. Per testimoniare l’eccezionale passione di quest’uomo basta visitare casa sua; appese ai muri ci sono le vecchie maglie di lana che indossavano i corridori, fotografie di altri tempi, autografi, ruote di legno, componenti meccanici di ogni tipo e soprattutto le biciclette. Uno dietro l’altro scorrono i marchi e i modelli più famosi: dalle Bianchi a “due stecche” alle Maino, Dei, Masi e molte altre. Ogni pezzo ha qualcosa da trasmettere, e tramite i racconti del Santochi; che ha vissuto gran parte di questo periodo storico, tutto acquista ancor più di significato e di interesse.
Quando ha scoperto la sua grande passione per la bicicletta?
"Nella mia famiglia la bicicletta è sempre stata presente, ma la passione per la bici sportiva viene senz’altro da mio padre, che la utilizzava anche quotidianamente per andare a lavoro da Mezzana a Viareggio. Quando nel 1951 riuscii finalmente a comprarmi la “Santa Zita”, una bici da corsa a due stecche di fattura pisana, l’amore sbocciò definitivamente. La pagai 22.000 lire". Com’era andare in bici da corsa in quegli anni a Pisa?
"Nella mia zona non c’era quasi nessun ciclista, perché la situazione economica nel primo dopoguerra non era delle migliori. La bici da corsa era costosa e non tutti potevano permettersela. Ricordo però con piacere le sfide che facevamo con altri due amici a salire il Monte Serra da Agnano: tutto sterrato e senza tutte le marce che hanno a disposizione le bici di oggi".
In un’ epoca divisa fra “bartaliani” e “coppiani”, da che parte stava?
"Per rispondere vorrei raccontare un aneddoto: Il 27 Luglio del 1959, Fausto Coppi corse nel velodromo di Fornacette. Alla fine della prova, riuscii ad entrare nel circuito, mi avvicinai e gli chiesi se avessi potuto aiutarlo a portare la bici fuori dalla pista e lui acconsentì. Poi gli chiesi un autografo e una foto, che conservo ancora con affetto. Quellfu molto speciale, anche perché il Campionissimo morì prematuramente pochi mesi dopo. La risposta, quindi viene da sé: sono “coppiano” da sempre".
Fu lì sulla pista che si innamorò dell’arte del “surplace”?
"Quel giorno a Fornacette, oltre a Coppi c’era anche Antonio Maspes, che fu sette volte campione del mondo di velocità. Vedere questi atleti di altissimo livello mantenere una stasi perfetta sulla bicicletta mi colpì e da allora ho cercato di perfezionare sempre di più la tecnica, riuscendo ad eseguirla anche con la bici a ruota libera".
Dalla nascita de “L’Eroica” c’è stata una grande riscoperta del ciclismo di altri tempi: come è cambiato secondo lei il ciclismo di oggi?
"Ho avuto il privilegio di conoscere tanti atleti importanti: da Gino Bartali, Eddie Merckx, Felice Gimondi, fino ad Alfredo Martini e Franco Ballerini. In tutti loro ho visto prima di tutto un’umanità e un contatto con la gente che adesso non ritrovo spesso, poi oggi il percorso di un corridore è tutto più “scientifico”, c’è meno poesia".
Lei è noto per essere un grande collezionista di bici d’epoca, quale è la bicicletta alla quale è più affezionato?
"Senz’altro la “Santa Zita”, perché è stata la mia prima bici da corsa e perché era una marca pisana".
Yari Spadoni