Pisa, 23 dicembre 2018 - Quello scontrino sarebbe la chiave di tutto. Una piccola ricevuta trovata in tasca (così ha raccontato agli inquirenti stessi), che Giacomo Franceschi, il volontario 37enne in cella con l’accusa di incendio doloso e disastro ambientale, ha bruciato per allentare la tensione quella sera. Prima ancora aveva bruciacchiato i pelucchi della divisa durante uno dei momenti di confusione che a volte vive.
Uno scontrino che avrebbe gettato quando era ormai per la maggior parte carbonizzato, cioè quando la fiammella sarebbe arrivata fin quasi alle dita che lo tenevano. E’ stato quello ad accendere il fuoco che ha poi distrutto quasi 1500 ettari di bosco dalla sera del 24 settembre? Lui ha ammesso di aver avuto un dubbio. Ma di non aver agito volontariamente. Poco dopo, ha gettato anche l’accendino che aveva con sé.
Si era parlato di più inneschi all’indomani del grande rogo sul Monte pisano. Ma, in realtà, sia il procuratore capo Alessandro Crini (che ha seguito il caso con la pm Flavia Alemi), che chi materialmente ha svolto le indagini, i carabinieri del nucleo investigativo e quelli forestali, hanno constatato che l’incendio è partito da una zona ben precisa nella quale è stata ‘registrata’ (con Google Maps e le celle telefoniche) la presenza per diversi minuti di Franceschi proprio nei momenti subito precedenti il nascere delle fiamme. Il gip ne ha disposto la custodia cautelare in carcere. POI sarebbe tornato a casa e, affacciandosi alla finestra, si sarebbe accorto di un bagliore. Quindi, la telefonata al presidente del Gva Federico Dalle Sedie alle 22.05 per segnalare questa luce particolare. Per gli inquirenti anche questo sarebbe indicativo, «visto che lui aveva questa volontà di arrivare sempre per primo sugli eventi». Davanti al giudice per le indagini preliminari, Franceschi, sottoposto quasi a un linciaggio social, sotto accusa persino gli avvocati che lo stanno tutelando, è rimasto in silenzio. E in silenzio sta lavorando anche il suo nuovo difensore, il penalista Mario De Giorgio, dopo che i colleghi Carlo Porcaro D’Ambrosio e Alberto Giovannelli, di comune intesa con la famiglia, hanno rinunciato all’incarico. Da indagato l’uomo era stato seguito dal legale Sandro Orrù.
antonia casini