di Antonia Casini
Lui a prendere il latte andava ogni giorno. E lo portava nelle case dei pisani. Un altro mondo che ha conosciuto solo chi è nato prima degli anni ’80. Poi ha prevalso la grande distribuzione. Loriano Borsacchi (nella foto in alto con la moglie Meri), classe 1931, due figli (un maschio e una femmina) e tre nipoti, è tra i tesserati locali del Pd più longevi. Nacque nella casa di Castagnolo, suo padre e sua madre lavoravano nel podere dell’opera nazionale combattenti di Coltano. "Poi fu realizzato il fosso e la struttura del demanio rimase dalla parte di San Piero. I miei genitori restarono fino al 1948-49, quindi ci trasferimmo e andai ad abitare a Coltano".
Ma oggi risiede altrove.
"San Giusto-San Marco dal 1963".
Come si trova qui?
"Bene, amo tanto Pisa, è la mia città".
Ma se dovesse trovare dei difetti?
"La trascuratezza nelle periferie. Abito in via Dell’Omodarme, fortunatamente cammino ancora bene ma i marciapiedi fanno paura".
Da quanto tempo è iscritto al Partito democratico?
"Da quando è nato. Non ho mai avuto tessere prima".
E poi perché si è deciso?
"Per la passione: mi piacerebbe raggiungere l’uguaglianza. Subito dopo la guerra, per chi aveva simpatie per la sinistra era dura. In generale, la vita è stata difficile nella mia generazione fino agli anni ’60".
E’ iscritto al circolo di zona?
"Sì, ma non riesco a presiedere più alle riunioni, sto a casa: oggi leggo i giornali, guardo la tv".
E l’attuale segretaria Schlein?
"Mi piace l’ho votata, è giovane: spero possa cambiare il partito. A Letta voglio un bene da morire ma è mancato di incisività".
Il sindaco attuale, invece?
"Non lo conosco personalmente, ma viene dalla Lega...".
Ha vissuto il secondo conflitto mondiale.
"Mi ricordo bene gli ultimi 7-8 anni del fascismo, l’arrivo degli americani...".
L’aspetto più brutto di quegli anni?
"La guerra, la fame, la miseria".
Qualche aneddoto?
"Le elementari di Coltano erano frequentate dai figli dei contadini e da quelli degli impiegati. A me per befana arrivavano in dono i pantaloni, a loro dolci e giochi. E’ allora che mi è scattato qualcosa. Vorrei un mondo che non verrà mai".
Ma oggi le cose non sono un po’ cambiate?
"Mi pare di rivedere gli stessi pensieri".
Che cosa rammenta, invece, della sua gioventù?
"Ho svolto 10-15 lavori diversi: tutto quello che capitava, manovale, elettricista, nel ’67, poi, entrai alla latteria del laboratorio Guidotti, roba da 250 quintali al giorno. Con un furgone andavo a vendere il latte casa per casa in tutta la provincia. Era pastorizzato e a lunga conservazione, la gente non era abituata e pensava che fosse fatto con la polvere di marmo".
Un augurio alla città?
"Che ci sia maggiore attenzione alle periferie".