"C’era una volta una scuola meravigliosa, un palazzo verde in cui non c’erano due spigoli paralleli, in cui pioveva nei corridoi, in cui le porte erano a vetri, in cui le palestre e i laboratori erano sempre occupati e in cui c’era una gran voglia di innovare ed entusiasmo da parte di docenti e studenti". Si apre così l’intervento della prof Donata Foà, ex docente di matematica, in pensione, che racconta nel libro "Sensate esperienze" della sua scuola, anzi, dell’avventura che un insegnante intraprendeva, lavorando al Buonarroti. Spirito volitivo e quella luce negli occhi di chi ama il suo lavoro, Foà ricorda così quegli anni di sfide pioneristiche, di cambiamenti nel modo di concepire l’insegnamento. "Era una scuola a dimensione del quartiere, una struttura aperta al sociale, con libero accesso alla biblioteca, non c’erano cancelli o sbarre per entrare, c’era la mensa per i rientri degli studenti, gli impianti sportivi erano a disposizione della città".
In cosa si distingueva dal liceo scientifico tradizionale? "Rifiutava l’insegnamento come travaso di informazione dall’insegnante allo studente, metteva lo studente al centro del processo di apprendimento, parole che rimangono tali finché non si agisce in pratica con una sperimentazione che modifichi la struttura, i contenuti, la metodologia e la valutazione". La stessa meraviglia, per un contesto aperto e completamente diverso dal solito ambiente scolastico, si trova nelle parole di Pier Paolo Corradini, ex studente del Buonarroti, oggi presidente del consiglio d’istituto: "Eravamo affascinati da questa scuola immensa, dove potevamo spostarci ad ogni ora, dal tetto (allora aperto e fruibile, una sorta di enorme terrazza solarium), alla biblioteca, che ho continuato a frequentare anche una volta diplomato. La mattina mi svegliavo presto per arrivare prima e godermi un quarto d’ora di chiacchiere con i miei compagni nel grande cortile, era un luogo di aggregazione, dove crescevi non solo culturalmente, ma come persona".
Alessandra Alderigi