Parole oltre la guerra. Zaki ricorda il carcere: "Per me pace è sinonimo di libertà"

Incontro alla Normale con Adriano Sofri per parlare dei conflitti. L’attivista egiziano: "Un concetto largo che abbraccia anche la giustizia". Lo scrittore: "Recarsi al fronte non è l’unico modo per capire".

Parole oltre la guerra. Zaki ricorda il carcere: "Per me pace è sinonimo di libertà"

Incontro alla Normale con Adriano Sofri per parlare dei conflitti. L’attivista egiziano: "Un concetto largo che abbraccia anche la giustizia". Lo scrittore: "Recarsi al fronte non è l’unico modo per capire".

"La pace ha tanti punti di vista. Quando sono uscito dal carcere per me pace è stata libertà, il respirare all’aria aperta, la famiglia". Lo dice Patrick Zaki, attivista egiziano incarcerato la prima volta in Egitto il 7 febbraio 2020, quando era studente di un master europeo dell’Università di Bologna. Lo dice in occasione dell’internet festival alla Scuola Normale nell’incontro con Adriano Sofri sul tema "Dinamiche globali nell’era digitale". Sempre Zaki aggiunge: "per parlare di pace si deve allargare la prospettiva e parlare delle fondamenta della pace tra cui ad esempio la giustizia". Accanto a lui sedeva Sofri scrittore e tra i fondatori e leader negli anni Settanta di Lotta continua. Sofri che ha scritto "C’era la guerra in Cecenia", viene stimolato da Leandra Borsci a parlare su come si racconta la guerra. "Esatto. La pace non si racconta più. Si racconta la guerra. E come la si racconta? Con gli inviati di guerra e questi che fanno? O meglio cosa sono costretti a fare? Vanno al fronte. Bene. Raccontare la guerra, per me si fa in tre modi. Il primo è quello che ho appena detto e cioè si prendono gli inviati e si sbattono al fronte". "Per andare al fronte – ed io ho raccontato tante guerre – in genere si ha uno stipendio fisso e non solo; ci vuole un autista, ci vuole una scorta, ci vogliono elmetto e giubbotto antiproiettile. Insomma, andare al fronte costa. Ma è sicuramente un modo, se non il più diffuso per raccontare la guerra. Raccontare le bombe che cadono è immediato. Il secondo modo è quello di essere del posto, del luogo. Gli ucraini e soprattutto le ucraine raccontano la guerra contro la Russia. Il terzo ed ultimo modo per raccontare la guerra, è quello di andare laggiù e vivere là dove vivono i civili, fare cioè proprio la loro quotidianità. Questo è il modo, il mio modo, quello che preferisco e lo dico nonostante abbia fatto anche l’inviato di guerra per l’Espresso".

Borsci ha coordinato l’incontro ed è esperta di comunicazione digitale e dice: "Nel mondo ci sono più di 200 conflitti. Le statistiche dicono che c’è molta più probabilità che si inneschino nuovi conflitti ora, che nel 1945. Abbiamo dato per scontato la pace e la pace non viene raccontata. La pace è semplicemente l’assenza di guerre. Non c’è un solo scenario di pace, la pace ha un paesagio più diversificato" Anche per questo motivo Zaki ha ricordato appunto che si debba partire dai "fondamentali" per avere la pace.

Carlo Venturini