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Il pesto più buono e caro al mondo "si può fare solo col pinolo pisano"
Pisa, 2 marzo 2025 – Il pesto più caro al mondo con i suoi mille euro al chilo, hand made in Imperia, ha un ingrediente che è una pepita d’oro tutta pisana: il pinolo del Parco di san Rossore. Orbene, dopo le ’chiacchere’ chiaccheratissime di Igino Massari (100 euro al chilo) ecco che sale sul podio delle ricette più gourmant, il pesto alla genovese che va a competere con la carne di Kobe del Giappone ed il parallelismo non è cosi azzardato come spiegheremo dopo. L’idea e la sua realizzazione di questo pesto di lusso ed altamente “tecnologico” la si deve a Maurizio Viani imprenditore agricolo e titolare dell’azienda Nauplia che si ispira alla “maniacalità e qualità dei prodotti giapponesi”.
Perché ha scelto il pinolo pisano?
“Sapete quanti ne abbiamo provati, testati assaggiati? Intendiamoci, abbiamo scartato subito i pinoli cinesi. Siamo per la tradizione ed anche per i prodotti nostrani, italiani ed il pesto è simbolo di italianità”.
Il pinolo pisano ha sbaragliato la concorrenza, perché?
“In parte è una conferma perché chi ci capisce di pesto dalle nostre parti, lo usa da anni. E’ il migliore, il numero uno”.
Che caratteristiche ha rispetto agli altri?
“Ha l’olio. Una volta pestato, strisciato sviluppa un olio che è straordinario e che si lega in maniera armonica con l’aglio. La ’cremina’ che si forma è un unicum. E’ dolce”.
Supponiamo, il pino pisano lo tratti coi guanti oltre che “pestarlo”.
“In primis non lo si pesta. Poi non lo pestiamo assieme al basilico ma solo con l’aglio. Inoltre lo pestiamo in mortai ad hoc di legno. Ed anche qui c’è legno e legno. No pietra, no marmo etc…”.
Il pinolo non va pestato?
“E’ maestria, da un lato lo si pesta delicatamente, dall’altro va strusciato e strisciato finché non si forma una crema. Il pestello va saputo usare”.
E poi quale proprietà ha la nostra “pepita”?
“Ha una ossidazione lentissima. Cambia anche poco colore e lo fa in maniera del tutto naturale a differenza di altri pinoli trattati che all’inizio sono bellissimi e poi il giorno dopo sono irriconoscibili. Inoltre noi usiamo barattoli speciali che impediscono l’eccessiva esposizione alla luce. Per questo combiniamo tradizione, super qualità e selezione degli ingredienti con la tecnologia. Il nostro pesto si chiama EPesto”.
Ma insomma, un po’ caro… Oppure no?
“Usiamo olio di olive taggiasche nostre, poi dei parmigiani modenesi ultra selezionati con varie stagionature, un pecorino sardo stagionato 55 mesi. Usiamo, tanto per farvi capire la meticolosità con cui facciamo il nostro pesto, usiamo il sale di Trapani. E’ un sale molto grosso e ci aiuta a strappare le foglie di basilico nel mortaio, foglie che devono essere strappate non pestate e basta”.
Il prezzo è giusto? Conferma?
“Confermo e ribadisco: se si usano ingredienti che costano più di cento euro al chilo, ed il parmigiano può arrivare a 1500 euro al chilo, il prodotto finale risente dei costi deli ingredienti. Metteteci la mano d’opera, le tasse. Solo il barattolo fotonico costa 10 euro. Ecco il prezzo è giusto”. Insomma viva Imperia, viva il pinolo del Parco di San Rossore che arriva fino in Giappone e buon appetito a chi se lo può permettere.
Carlo Venturini