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"Quella sera pensai che Lele fosse scappato"

Viberti, l’ultimo a vedere in vita Scieri ascoltato a lungo in aula: "A un altro disse ‘ma chi me l’ha fatto fare di presentare domanda nei parà’"

di Antonia Casini

PISA

"Pensavamo che se ne fosse andato". E’ una testimonianza difficile quella di Stefano Viberti, l’ultimo che (a parte gli imputati per la Procura di Pisa) fu l’ultimo a vedere in vita Emanuele Scieri, il giovane siracusano trovato morto il 16 agosto del 1999 nella caserma Gamerra. Ucciso, per l’accusa, da tre dei suoi ex commilitoni: due (Panella e Zabara) sono a processo in Corte d’assise, il terzo Antico, assolto in primo grado (è stato già presentato appello). In aula, l’operaio (adesso) che è stato definito più volte il super testimone, ricostruisce quell’ora e 15 minuti di "buco" nella sera del 13 agosto di 23 anni fa, come scriviamo anche nelle pagine nazionali. Prima il viaggio di trasferimento da Firenze a Pisa dove fu imposta la posizione della sfinge e l’aria calda agli allievi. "Mi addormentai due volte". Poi, la libera uscita, il giro "in piazza dei Miracoli", la sosta al bar di via di Gello, proprio dove si trova la caserma e dove Viberti sentì pronunciare a Scieri, rivolto a un altro ‘anziano’ laureato: "Ma chi me lo ha fatto fare di essere militare nei parà?". Qui si concentrano le domande dell’avvocato Ivan Albo, che tutela la famiglia Scieri. "Lei dichiarò che Scieri le aveva detto che nonostante fosse più grande, stava facendo volentieri il militare. Non sono in contraddizione le due affermazioni?". "Forse si chiese chi glielo avesse fatto fare in tono scherzoso", risponde il testimone. Quindi il resto del racconto intercalato da tanti quesiti e alcuni "non ricordo". Il rientro dalla porta Carraia, alle 22.15, la sigaretta fumata insieme lungo il viale della caserma e le strade divise dopo le 22.30 proprio all’altezza del casermaggio dove poi fu trovato morto il 26enne tre giorni dopo. "Tirò fuori dal marsupio il cellulare e mi disse che avrebbe fatto una telefonata, lo ricordo con l’apparecchio in mano. ‘Ci vediamo dopo’. Io tornai in Compagnia". Una chiamata mai fatta alla famiglia. Al contrappello delle 23.45, Scieri fu segnato assente. "Si accorsero che non c’era già prima di arrivare alla sua branda". La presidente Beatrice Dani invita Viberti a "stare tranquillo". "Com’era Scieri in quel momento?", chiede la parte civile. "Non lo conoscevo bene ma mi sembrava normale". "Notò qualcosa di strano?", si informa il sostituto Sisto Restuccia (con lui anche il procuratore Alessandro Crini): "Nessun incontro, niente grida o altro particolare". "Ma quale opinione vi eravate fatti della sua assenza?" "Pensavamo che fosse uscito di nuovo". Più avanti, rispondendo ancora al legale degli Scieri dice "scappato". "Non eravate in ansia?", domanda la presidente. "Lì per lì non demmo troppa importanza alla sua assenza. Poi mi sono sentito in colpa perché non riferii dove lo avevo visto l’ultima volta che è poi il luogo dove fu rinvenuto il suo corpo". "Sapeva che il 17 agosto con decreto ministeriale era stato trasferito agli alpini in Puglia?", lo incalza il pm. "No, nessuno me lo comunicò. Io fui trasferito a febbraio". "In quei giorni ha mai temuto per la sua incolumità?". "No". Il penalista che difende Zabara, Andrea Di Giuliomaria, insiste sui movimenti che non erano liberi in caserma e sulla frase: "Gli suggerì qualcuno di attribuire a Scieri ‘Chi me l’ha fatto fare?’". Dani si ricollega: "Ci è stato riferito che tutti scherzavano sull’assenza di Scieri. Lei era l’unico che non rideva, come se sospettasse la sua fine. Ha deposto tante volte, ma la verità la deve decidere il Tribunale. Deve dire tutto. Non aver paura. "Non ho mai nascosto nulla, ho detto sempre verità. Fu uno choc, andammo tutti nel pallone". "Ma come ritenne che morì?". "In quei tre giorni non ho mai subito atti di nonnismo, se non quelli sul bus. Solo al primo interrogatorio i carabinieri mi fecero vedere le foto e allora pensai che fosse stato picchiato". E chiude: "La mia vita è stata difficile dopo quel fatto".