di Francesco Paletti
PISA
"Fallito". "Auguri razzista". "Razzista di m ...". "Faccia a c ...". Ci fermiamo qui, anche se il campionario sarebbe ben più vasto e articolato. Sono solo alcuni degli epiteti rivolti via social network nelle ultime ore a Michele Marconi l’attaccante nerazzurro, accusato dal Chievo di aver rivolto un’espressione razzista ("La rivolta degli schiavi") martedì scorso durante la sfida all’Arena nei confronti del centrocampista nigeriano Joel Obi. Non importa se nei referti dei quattro arbitri e dei sei ispettori federali presenti allo stadio di quell’espressione, oggettivamente grave nel caso fosse stata pronunciata, non vi sia traccia e che questa non sia stata captata nemmeno dall’audio di Dazn, tanto che il giocatore non è stato sanzionato e domani a Cosenza sarà regolarmente a disposizione di mister D’Angelo. La gogna mediatica è partita subito dopo il comunicato divulgato dal Chievo, quasi al triplice fischio finale, che ha puntato chiaramente il dito contro Marconi. Ed è cresciuta in queste ore, con insulti e offese all’indirizzo dell’attaccante. Che molto probabilmente lunedì, al rientro dalla trasferta in terra calabra, contatterà la polizia postale per sporgere denuncia.
Per adesso è questa l’unica certezza del "caso Marconi". Il popolo della rete, che non è diverso da quello che s’incontra quotidianamente per strada, ha deciso: "Marconi è razzista", un’accusa che, comunque vada, rimarrà addosso a lungo al giocatore e all’uomo. Non importa se l’inchiesta aperta dalla procura federale è appena agli inizi e non è dato sapere se e quanto andrà avanti: alla vigilia di Natale sono stati ascoltati i calciatori del Chievo Obi e Garritano, il team manager Pacione e il segretario generale Edoardo Busala e per adesso nessuna convocazione è arrivata all’indirizzo di calciatori e dirigenti del club nerazzurro.
Prove o sentenze, al momento, non ce ne sono, ma quell’etichetta è già attaccata addosso all’attaccante nerazzurro. A poco sono servite le sue dichiarazioni: "Sono sicuro solo di una cosa – ha detto alla Gazzetta dello Sport: io non ho insultato nessuno, tantomeno utilizzando epiteti che possano definirsi "razzisti". La mia vita, privata e professionale, parla per me: il mio testimone di nozze è una persona di colore, ho moltissimi amici e ho avuto compagni di squadra di colore. Non accetto di essere strumentalizzato, tanto su un tema così delicato e importante come il razzismo, che va estirpato dalla società e dagli stadi. La lotta al razzismo va combattuta realmente, non per condizionare un risultato o un arbitro come fatto dal Chievo negli spogliatoi e durante tutta la gara".