Pisa, 20 settembre 2019 - Tutto è cominciato con un segnale verde, giallo e rosso. Federico Taddia, giornalista e autore, è il ‘padre’ di Dorin.
Com’è nata questa storia?
«‘Girogirotonda’ è un libro pubblicato nel 2003: in 16 anni è stato adottato da centinaia di scuole italiane per parlare di integrazione, incontro e differenze. È nato proprio in un semaforo, dove spesso mi fermavo e sovente c’erano persone che cercavano di guadagnare qualche soldo, lavando i vetri, facendo piccoli numeri di giocoleria o vendendo oggetti. A volte c’erano anche bambini, con cui comunque si scherzava o si scambiava due battute. Un giorno il semaforo è stato abbattuto per far posto a una rotonda e non ho più visto quelle persone. Da lì è nata l’idea del racconto. Nel mio periodo universitario ho fatto molte ore di volontariato nei campi nomadi, è quindi una realtà che conosco bene. E mi occupavo proprio di inserimento scolastico».
Nel libro non viene mai citata la parola rom: una scelta?
«Nessuna scelta. Non è nemmeno specificato se le persone in auto siano italiane, francesi, tedesche, toscane o emiliane. È un racconto contro etichette e pregiudizi, ma appunto, un racconto, non un saggio sociologico. Evoca immagini, sensazioni, situazioni. Emozioni».
Qual è il messaggio che passa con il suo racconto?
«Volevo scrivere parole che aiutassero a guardare l’altro, chiunque fosse. E, andando al di là di apparenze e pregiudizi, ricordare che le persone provano sentimenti, di gioia e di felicità, e che le nostre parole e i nostri gesti possono ferire o rincuorare».
Alcuni genitori hanno accusato i curatori del testo in cui Dorin è inserito di non aver contestualizzato correttamente la trama. Che cosa ne pensa?
«Non conosco l’intero testo e del mio stesso racconto è stata presa una piccola parte. Ma le schede didattiche che ho potuto visionare mi sembravano ben fatte. Uno stimolo, uno spunto per parlarne insieme. La storia di Dorin non ha necessità di essere contestualizzata, è letteratura. Ma può essere un punto di partenza, per genitori, insegnanti ed educatori per affrontare argomenti più complessi».
Crede che la vicenda narrata sia adatta a bambini di 6 anni?
«Assolutamente sì. In questi 16 anni ho incontrato centinaia di classi dei primi anni e i bambini hanno sempre colto il cuore della storia. Sono gli adulti che hanno paura delle lacrime e dei sorrisi di Dorin, non certo i bambini».
Lei ricorda il libro adottato dalla sua maestra? Com’era?
«Orzowei, di Alberto Manzi. Un romanzo bellissimo, dove il diverso era il bianco. Una fantastica storia di integrazione. Ma non ricordo che i miei genitori si siano lamentati col politico di turno». Sarebbe disponibile ad andare nelle scuole per incontrare gli alunni e spiegare il significato di questa storia. «Certo. Anche se non credo ce ne sia bisogno: i bambini, a differenza di qualche adulto, il significato lo hanno già capito da soli».
Antonia Casini