REDAZIONE PISA

Rogo di Calci: spesi oltre 4 milioni. Ma per il ripristino necessari altri 11

Solo per lo spegnimento è costato quasi 2 milioni e 800mila euro. Le motivazioni dell’appello. L’incendio innescato da un uomo "sufficientemente esperto", così i sospetti ricaddero su Franceschi. .

Un’immagine del maxi rogo del 2018

Un’immagine del maxi rogo del 2018

Oltre 4 milioni spesi per il rogo di Calci, ma sono altri 11 quelli stimati per far ’guarire’ completamente il territorio. Le cifre sono state riprese nelle motivazioni dai giudici della Corte d’appello che ha ridotto la pena a 10 anni per Giacomo Franceschi (in primo grado l’imputato era stato condannato a 12). Il reato di disastro ambientale è stato ‘assorbito’ in quello di incendio boschivo. La sentenza in appello per Franceschi, ex volontario dell’Aib di Calci e unico imputato per il maxi rogo che devastò il Monte Pisano nel 2018, era arrivata a giugno. Quell’incendio distrusse quasi 1200 ettari di vegetazione. Undici le case colpite (5 distrutte) in quell’evento, 700 le persone evacuate tra Montemagno e Noce. Numerose le parti civili in primo grado, non tutte si sono costituite in appello: l’associazione Gva (10mila euro la provvisionale), di cui Franceschi faceva parte; i Comuni danneggiati, quelli di Calci e Buti (quest’ultimo ha rinunciato alla richiesta in favore degli altri) attraverso la penalista Laura Antonelli; il Comune di Vicopisano (100mila euro) assistito da Silvia Fulceri e la onlus ambientalista "Lega per l’abolizione della caccia" (5mila) rappresentata dal legale Valentina Angelini.

I giudici ripercorrono tutti i danni: 1.197,49 gli ettari interessati, di cui 1000 ricoperti dal bosco; tantissimi i mezzi e gli uomini impiegati. Per le operazioni di spegnimento, furono spesi oltre 2.780mila euro, per gli interventi di emergenza, quasi un altro milione, e per la messa in sicurezza nell’immediato più di 600mila. Molte le persone che furono messe in pericolo di vita. Per non parlare dei fumi respirati dalla popolazione e tutti i rischi per l’ambiente legati a questo evento che sconvolse più territori. I costi di ripristino per la vegetazione sono stati stimati in oltre 11 milioni.

Quel giorno il vento spirava a oltre 50 km orari: 16 ore ininterrotte di raffiche. Un elemento che ha portato investigatori e inquirenti a lavorare da subito su un "soggetto sufficientemente esperto", anche per la scelta dell’innesco (a tempo, pezzi di zampironi, secondo l’accusa) e per aver fatto infuriare l’incendio in un’area poco visibile dalle zone abitate. I sospetti si sono da subito ristretti a poche categorie, tra cui quella dei volontari dell’antincendio. Le intercettazioni telefoniche nei confronti di Franceschi partirono all’indomani del rogo anche - si spiega - per le dichiarazioni fatte dall’imputato ad alcuni carabinieri sul precedente del 15 settembre: "Hai visto, ci hanno riprovato! Ora c’è da aspettarsi l’incendio notturno". Molto ci si sofferma sulle sue "dichiarazioni autoincriminanti" (in cui sostenne di aver bruciato i pelucchi della divisa e uno scontrino) quel 18 dicembre 2018, quando la sua posizione cambiò e l’ex volontario diventò indagato. Poi disse di essere stato confuso e affermò di non essere stato mai - prima del rogo - sul Monte quel giorno. Per la difesa, come detto più volte in aula, sarebbero "sconclusionate" e date da un forte stato di stress e disagio in cui si trovava l’imputato, come valutato dal professor Pietro Pietrini. Per la Corte si tratterebbe invece di normale stress per la situazione e di un tentativo di Franceschi, vistosi scoperto dopo che i carabinieri gli avevano mostrato la schermata di Google Maps che lo collocava sul Monte quel giorno, di spiegare la sua responsabilità in termini colposi. Quindi, le telecamere che lo avrebbero ripreso con la Fiat Panda (di un particolare azzurro) sotto la telecamera di Ponte Grande alle 19.49.

"La corte d’appello di Firenze ha riproposto le argomentazioni che hanno condotto il Tribunale di Pisa a ritenere Giacomo Franceschi responsabile del rogo del settembre 2018: partendo dalle stesse premesse è giunta alle medesime conclusioni – spiega l’avvocato difensore Mario De Giorgio – Non condividendo minimamente il ragionamento dei giudici di appello, in quanto basato su presupposti erronei e privo di adeguati riscontri, proporrò ricorso per Cassazione, per dimostrare in quella sede l’innocenza del mio assistito".

A. C.